Il grido al cielo per il Lavoro – di Umberto Baldocchi
“Defraudare la giusta mercede a chi lavora” era annoverato nel vecchio Catechismo della Chiesa Cattolica come il quarto tra i peccati che “gridano vendetta al cospetto di Dio”, o che ”gridano verso il cielo”, come si esprime oggi il nuovo Catechismo. L’avevo imparato molto presto da bambino, ovviamente senza capire fino in fondo il senso profondo di quel“ gridare vendetta”. Non avevo infatti capito che il catechismo intendeva dire che si trattava di un peccato che distruggeva dalle fondamenta la vita sociale e pubblica, un peccato che riguarda tanto chi crede quanto chi non crede, ma alla stessa comunità appartiene, per i disastrosi effetti sociali negativi che produce e moltiplica. Da adolescente in poi invece ho sempre ritenuto ( ingenuamente) questa una asserzione obsoleta e ormai superata: come sarebbe possibile oggi defraudare “legalmente” un dipendente del salario o dello stipendio necessario e sufficiente a vivere? Quale società moderna potrebbe accettare di far vivere in una miseria incolpevole i propri cittadini ? Questo poteva succedere ai primordi della rivoluzione industriale, oltre che nei tempi precedenti non nel XX o XXI secolo. Così avevo pensato.
Era purtroppo una illusione. Non avevo previsto la possibilità del “lavoro povero”, e non solo di quello. Avevo decisamente sottovalutato la Bibbia e la sua capacità di conoscere alle intime radici l’umanità della persona oltre i mutamenti tipici delle singole epoche storiche.
Oggi però specie in Italia siamo andati molto oltre. Il “peccato che grida verso il cielo” è non solo tollerato, ma anche considerato come la “cura” per salvare economia e società.
L’ Italia ha oggi un 10% della sua popolazione in povertà assoluta, secondo i rapporti Caritas. Difficile trovare precedenti storici analoghi nella vicenda italiana ed altri analoghi nell’ Europa attuale. Defraudare la giusta mercede ai lavoratori oggi in Italia non è però più nemmeno un peccato veniale, è considerata soltanto un atto doloroso, ma ritenuto inevitabile, perché necessitato da esigenze superiori come quelle della tenuta dei conti pubblici e della salvaguardia del valore del denaro. Prima lo Stato- o la regola europea, o il valore della moneta unica, o la compatibilità dei bilanci-, poi la persona. Vogliamo scherzare? Mica possiamo pensare l’opposto, come pensavano i costituenti italiani del 1948 ! Mica possiamo pensare che la Persona venga prima dello Stato! Dobbiamo davvero “morire per Maastricht” come qualcuno tra i nostri “europeisti” qualche anno fa auspicava?
Non sto affatto esagerando. Mi limito a informazioni obiettive che traggo dai quotidiani o da frasi scritte in sentenze.
Il “lavoro povero” si va diffondendo, non solo nel settore privato, ma anche nel settore pubblico, e non solo tra chi ha bassi titoli di studio; lo sanno bene i vertici del governo che devono scorrere le graduatorie di reclutamento dei concorsi pubblici per far fronte alle dimissioni in massa dei neo-assunti. E’ ciò che è successo anche con l’assunzione “emergenziale” in massa di neo-laureati e giovani per porre un rimedio ai disastrosi vuoti di organico evidenziati dai problemi del PNRR.
Ritmi soffocanti con le ore di lavoro che si mangiano sere e week end, forme malsane di competizione fra colleghi dall’alto verso il basso. Nel testo “Le grandi dimissioni” di Francesca Coin ( Einaudi 2023) l’autrice racconta “ la storia di Viola, lavoratrice della questura, che lavorava sere e week end per sentirsi dire: Il tuo lavoro è un privilegio , perché ti serve tempo libero? . Ecco il tempo libero torna ad avere importanza perché non c’è più” ( A. Bonatti, Ora basta, mi licenzio, Il Tirreno, 25 giugno 2023, p. 13).
Ma lavoro defraudato non è solo il lavoro povero, o impoverito. E’ anche ogni retribuzione non usufruita tempestivamente, senza adeguata motivazione.
E’ noto che le regole attuali prevedono che lavoratori pubblici devono per legge aspettare 12 mesi se raggiungono il requisito di età e di servizio per la pensione di vecchiaia; 24 mesi se la cessazione del rapporto di lavoro è avvenuto per dimissioni volontarie.
Ora la Sentenza n. 130 / 2023 della Corte Costituzionale ( giudice Maria Rosaria Sangiorgio) ha riconosciuto che Il differimento della corresponsione dei trattamenti di fine servizio (T.F.S.) spettanti ai dipendenti pubblici cessati dall’impiego per raggiunti limiti di età o di servizio contrasta con il principio costituzionale della giusta retribuzione, di cui tali prestazioni costituiscono una componente; principio che si sostanzia non solo nella congruità dell’ammontare corrisposto, ma anche nella tempestività della erogazione. Si tratta infatti di un emolumento volto a sopperire alle peculiari esigenze del lavoratore in una particolare e più vulnerabile stagione della esistenza umana.
Così la Corte Costituzionale ha precisato il senso della giusta retribuzione in riferimento alla tempestività della erogazione elusa in base a motivi divenuti (pseudo) emergenziali:
“La corresponsione differita e rateale dell’indennità di fine servizio arrecherebbe al beneficiario un’utilità inferiore rispetto a quella derivante da una liquidazione tempestiva, posto che «proprio attraverso l’integrale e immediata percezione» di tali spettanze il lavoratore si propone «di recuperare una somma già spesa o in via di erogazione per le principali necessità di vita, ovvero di fronteggiare o adempiere in modo definitivo ad impegni finanziari già assunti». ( Sentenza n. 139/2023 p. 1 Considerato in diritto 1.1)
La natura retributiva attira le prestazioni in esame nell’ambito applicativo dell’art. 36 Cost., essendo l’emolumento di cui si tratta volto a sopperire alle peculiari esigenze del lavoratore in una «particolare e più vulnerabile stagione dell’esistenza umana» (sentenza n. 159 del 2019). ( Sentenza n. 130/2023, Considerato in diritto 6.2)
La garanzia della giusta retribuzione, proprio perché attiene a principi fondamentali, «si sostanzia non soltanto nella congruità dell’ammontare concretamente corrisposto, ma anche nella tempestività dell’erogazione» (sentenza n. 159 del 2019).
Ciò in quanto la previsione ora richiamata ha «smarrito un orizzonte temporale definito» (sentenza n. 159 del 2019), trasformandosi da intervento urgente di riequilibrio finanziario in misura a carattere strutturale, che ha gradualmente perso la sua originaria ragionevolezza. (Sentenza n. 130/2023, Considerato in diritto, 6.4 “
Lavoro defraudato è infine il risparmio non tutelato in quanto usato per sopportare oneri e gravami insostenibili dai redditi correnti. E’ quanto è successo ai conti correnti che mostrano un crollo di 61 miliardi dovuto agli oneri che in seguito a incrementi dei costi energetici e costi nascosti della guerra ibrida di Ucraina i cittadini italiani hanno dovuto sopportare.
Cosa sta succedendo? Defraudare il lavoratore della giusta mercede pare oggi una dura necessità. Forse sarà diverso per la NEXT GENERATION, ma non ne siamo così certi. L’infelicità e il peggioramento continuo della vita sociale sembrano prospettive non evitabili, necessitate.
Ma perché non si avverte anche la intima ingiustizia e la vera radice di tale “necessaria” infelicità, che sta in scelte umane ( sempre mutabili) e non in onnipotenti e ineludibili leggi di natura o di economia? Perché accettiamo questo “vangelo di disperazione”? Qui è il punto.
Si è perso qualcosa di essenziale. Non soltanto il livello di coscienza religiosa e morale diffusa. C’è qualcos’altro che si è perso. Qualche giurista e qualche sociologo forse lo sta scoprendo. C’è qualcosa di mostruoso tra noi umani, qualcosa che si traduce in quei fenomeni di degrado che di solito non colleghiamo mai alla loro vera matrice culturale e sociale. Penso alle violenze intra-familiari ( che non sono soltanto femminicidi, cioè delitti promossi da una discriminazione sociale, ma soprattutto disprezzo dei valori della persona ), ai clamorosi fallimenti educativi della scuola, al crollo demografico, al narcisismo nichilista degli youtubers che giocano con la vita propria e degli altri, al “lavoro senza senso” degli influencers che arricchiscono vendendo semplicemente del fumo, cioè il nulla, mentre i laureati spesso hanno occupazioni umilianti, penso al crescente disprezzo della democrazia ( la cosiddetta “disaffezione elettorale”), alla perdita di ogni senso del limite promosso dall’ aumento della “potenza” personale, al prevalere dei beni di comfort ( oggetti, telefonini e simili) sui beni di stimolo ( bellezza, felicità, amicizia ecc.).
Siamo di fronte a forme inedite di alienazione, che fanno impallidire l’alienazione lavorativa e il “semplice” sfruttamento capitalistico del lavoro denunciato da Marx. Qualcosa è cambiato radicalmente e non ce ne siamo accorti, in epoca di neoliberismo dilagante che doveva diffondere universalmente consumo, ricchezza, efficienza e produttività.
Cosa è cambiato? E’ successo che la giustizia, intesa non solo come correttezza contrattuale ( anch’essa oggi in discussione) ma soprattutto come esigenza irrinunciabile di tutela della persona, rispetto delle leggi non scritte di cui parla Antigone, se vogliamo prescindere da ogni contesto religioso, sta evaporando. O meglio si va trasformando. Grazie al crescente “distanziamento sociale” delle persone, al nostro Covid permanente. Ma grazie soprattutto ad una mutazione profonda del diritto, che diviene sempre di più costruzione tecnica e specialistica, necessaria a normare le novità liberamente prodotte dalla tecno-scienza selvaggia che dà forma alla realtà (utero in affitto, intelligenza artificiale, cyborg, industria militare come mezzo per costruire la pace e via dicendo).
Lo aveva intuito all’inizio della modernità, che apriva la strada all’uomo-macchina, un grande e ignorato da molti filosofo e matematico dalle intuizioni geniali:
“Non potendo ottenere che ciò che è giusto fosse forte, si è fatto sì che ciò che è forte fosse giusto” (Blaise Pascal, Pensieri).
Abbiamo accettato in altri termini un diritto senza giustizia. Ora lo stiamo scoprendo anche nelle novità che vengono dal mondo politico. C’è una continuità, finora invisibile, tra chi in Europa ha costruito le “leggi dei numeri”,- i patetici 3% e 60% dei vincoli europei e tutto il resto- chi ha plasmato le regole finanziarie, che tutti a parole vogliono modificare, e chi costruisce barriere contro i migranti o utilizza il diritto penale come strumento di gestione ordinaria della società ( aumentiamo le pene, dai femminicidi, ai monopattini, agli “imbrattatori di monumenti”!), salvo magari costruire aree di immunità per le élites o per i privilegiati, o utilizza la spesa militare per far crescere il PIL.
Anche una Destra “moderata”, moderatamente nazionalista, può esser utile per tutelare la “costituzione ultraliberista” dell’ Europa attuale, una “costituzione” che mai questa Destra, moderata e “intelligente”, dimostra di contraddire o voler ledere anche minimamente . Una Destra che certo riconosce l’esistenza di alcuni problemi sociali, ma ne imposta la risoluzione attraverso il mercato e le sue magiche e mirabolanti risorse (una magica flat tax capace di moltiplicare il lavoro!).
Nell’intervento del presidente del Consiglio Meloni alla Camera del 28 giugno vi è stata una chiara presa di posizione nel sottolineare i parametri di riferimento da assumere per valutare l’andamento dl nostro Paese ed i risultati del governo : la capacità di crescita indicata dal PIL ( Italia locomotiva d’ Europa ), il tasso di occupazione, il livello dello spread. Tutti parametri astratti che danno al momento una valutazione in crescita per l’ Italia.
Ovviamente prescindendo dai parametri attinenti alla concretezza della vita sociale, come il tasso di povertà assoluta ( 10% delle famiglie secondo il rapporto Caritas) il livello di stipendi e salari, come noto in Italia congelati da decenni , in conseguenza della “svalutazione interna” imposta dai meccanismi finanziari, la distruzione crescente del patrimonio e della ricchezza risparmiata ( i 61 miliardi spariti dai conti privati).
La prospettiva annunciata, non dunque quella di un neo-autoritarismo, ma quella di un neoliberismo o ultraliberismo populista e nazionalista, comincia a divenire realistica. Ed infatti il presidente del Consiglio ha prudentemente e intelligentemente evitato di esprimersi sul “merito” del MES, cioè di fare osservazioni critiche concrete, limitandosi ad una cauta messa in discussione sul “metodo”. Non è il momento del MES, perché si tratta di discutere il pacchetto completo delle misure incluso il patto di stabilità. Il momento del MES verrà. Ma nel frattempo nessuna indicazione ci è stata rivelata sul “merito” cioè sul senso che il governo vuol conferire ai mutamenti della governance e che difenderà in sede europea. Il cittadino comune può e deve pensare ad altro. Ed anche la critica ragionevole alla politica monetaria della BCE si è tenuta nei limiti, evitando ogni riferimento al potere straordinario e assoluto a livello mondiale che i Trattati, e le sentenze della Corte di Giustizia europea hanno consegnato a Francoforte.
La Sinistra crede di poter contrastare questa Destra contrapponendovi un elemento identitario come un singolarismo libertario che punta su “diritti di nuova generazione” e disconosce i problemi sociali o al massimo riconosce ad essi una dimensione puramente difensiva ( reddito di cittadinanza, aiuto a chi è rimasto indietro, ovviamente per suo demerito, salario minimo). Ma in questo modo non affrontera mai il problema centrale , quello della costituzione ultraliberista e del neoliberismo, non lotterà mai per uscire da una società dell’astrazione , che affida la propria autovalutazione ai parametri astratti e funzionali della realtà finanziaria, ma a quelli concreti della realtà sociale e costituzionale, che tengono in conto l’impatto concreto sulle persone e consentono di vivere in una società della cura. Non farà mai ciò che deve fare una vera opposizione..
Se vogliamo affrontare i nostri problemi – e anche iniziare a ri-costruire e ri-formare l’ Europa – dobbiamo cominciare di qui. Dal fare ciò che l’attuale Destra e l’attuale Sinistra, per motivi diversi, non riescono a fare o non possono fare. Cioè dal rendere forte ciò che è giusto, dall’usare la forza, tutta la forza lecita ( non ovviamente la violenza) per mettere al primo posto la giustizia, in politica interna e in politica estera. E’ questo il solo modo per mettere al primo posto anche la pace, l’elemento per cui è nata l’Europa, quella pace che della giustizia è figlia e non ha mai bisogno dell’appellativo di “giusta”, se pace vera essa è .
Il “grido verso il cielo” non può mai rimanere senza ascolto. Le tragedie del passato ci ammoniscono sui disastri creati da chi ammutolisce e silenzia quel “grido”, in nome di altro. Le patologie sociali ed umane, o i disastri, che da qualche anno abbiamo sotto gli occhi anche in Italia ed in Europa, cosa altro sono, se non l’effetto di questo “grido” soffocato? Cosa altro dobbiamo attendere per gridare ad alta voce la priorità assoluta delle esigenze di giustizia?
Umberto Baldocchi