L’identità della Nazione e la Politica – di Domenico Galbiati

L’identità della Nazione e la Politica – di Domenico Galbiati

Non ha senso sostenere, come fanno alcuni, che la Meloni sarebbe fascista, in quanto, da giovanissima, la sua esperienza politica ha preso avvio nell’organizzazione giovanile del MSI. Non è giusto appioppare etichette di comodo, soprattutto a scelte giovanili che spesso rispondono a nodi contraddittori irrisolti e tipici di un’età
in cui non è ancora scontata – per la verità non lo è mai, neppure in età adulta – una chiara distinzione tra ciò che è impulsivo ed emozionale e, per altro verso, razionalità, capacità critica, piena autonomia di giudizio. E non è neppure politicamente opportuno e legittimo.

La Meloni ha vinto le elezioni ed ha sì il dovere, ma anche il diritto di governare. Senza che l’opposizione o le opposizioni pensino di sfangarla – prive come sono di un progetto alternativo da contrapporre al governo – cercando di imprigionarla entro una sorta di gogna morale. Ma, nel contempo – per quanto sia lecito cambiare, maturare un diverso avviso, superare lo scoglio di una postura ideale rigida ed evolvere verso forme di pensiero più elastiche e consapevoli – ogni persona porta pur sempre con sé, anche quando ne avesse fatto oggetto di una profonda revisione critica, la sua storia, né la può dismettere e buttare alle ortiche come fosse un abito consunto e lercio di cui vergognarsi.

E’ un’elementare questione di dignità personale, di rispetto per sé stessi, si potrebbe dire di valenza anche estetica, da cui deriva l’impegno d’osservare una certa prudenza nel ricorrere a concetti, parole d’ordine, categorie di giudizio che prevalentemente derivano da una fase del proprio pensiero che pur si ritenga felicemente superata. E questo vale anche per la Meloni, ad esempio, quando invoca quel concetto di “patriottismo”, che sembra profilarsi come una delle categorie politiche interpretative del nuovo corso e, dunque, meritevole fin d’ora di qualche approfondimento.

Il patriottismo nulla ha a che vedere con il nazionalismo. Anzi, si tratta, se esaminati a fondo, di due atteggiamenti antitetici, talché l’uno esclude l’altro. O si è patrioti o si è nazionalisti. Si tratta di scegliere dall’una o dall’altra parte, dato che il nazionalismo è una forma caricaturale dell’identità morale e storica, sociale, culturale di un Paese e sempre ne altera la fisionomia. Il vero patriottismo è, in ultima analisi, una forma di empatia tra ciascuno
di noi e la comunità di cui siamo parte. E’ la consapevolezza rivendicata e giustamente orgogliosa del portato civile e morale che una comunità nazionale ha maturato nel suo percorso storico ed offre al contesto più ampio, continentale ed addirittura planetario cui sa di concorrere e dal quale, a sua volta, apprende.

L’identità di un popolo e di una nazione non è altro che una particolare, specifica forma in cui si manifestano quei valori universali che appartengono alla nostra comune umanità. Valori che si inverano nella loro dimensione relazionale, cioè in quanto sono in grado di concorrere ad una reciproca contaminazione tra visioni che mettono in comune spicchi di verità che convergono verso una comune e più profonda autocomprensione dell’ umano.

Il nazionalismo, al contrario, attesta un atteggiamento regressivo, una chiusura, un arroccamento che, al di là dell’ enfasi che lo accompagna, tradisce, in effetti, un atteggiamento difensivo che, non a caso, può preludere a toni aggressivi, ove si senta messo in discussione. Il nazionalismo attesta non la forza di un popolo, ma l’insicurezza che lo pervade e che cerca di occultare senza guardarla con franchezza negli occhi. Implica, di necessità, che vi sia il “diverso”, una alterità netta con chiunque si affacci ai propri confini, cosicché viene avvertito come minaccioso ed ostile. Né il patriottismo può rappresentare l’abito buono sotto le cui mentite spoglie si annidano sovranismo e populismo, in una babele concettuale che non approda a nulla di buono.

Cosa significa, del resto, “Europa dei patrioti”? Non è una contraddizione in termini, una interpretazione volutamente equivoca di un processo di unità politica, cui deve corrispondere la maturazione di una “patria europea” che sia comune e condivisa da tutti i popoli che vi concorrono, piuttosto che concepita come mero accostamento di patrie distinte? Insomma, al di là dei toni suadenti, persiste nella destra una ambiguità
di fondo nei confronti dell’Europa.

Domenico Galbiati