L’Italia dell’astensione – di Domenico Galbiati

L’Italia dell’astensione – di Domenico Galbiati

C’è un’ Italia che si è chiamata fuori. Degli italiani che non votano più che succede ? L’astensionismo cresce ancora, partendo da soglie già da record. Cresce pure a livello locale dove si toccano i nervi scoperti di una comunità ed il coinvolgimento dovrebbe essere più avvertito. Non a caso si propagano le “liste civiche”. Eppure, per quanto siano aliene dal generale disdoro di cui soffre la politica, anch esse non riescono ad incrementare l’interesse dei cittadini. Così – con buona pace di coloro che sostengono la personalizzazione della politica – non attirano di più alle urne neppure i ballottaggi dove la sfida è del tutto semplificata e diretta, per cui la percezione del “peso specifico” del singolo voto dovrebbe essere netta e più inclusiva.

Quel 60% o giù di lì degli italiani che non si sono presi la briga di recarsi domenica alle urne non vivono in una bolla a sé stante, o in un limbo che li sottragga alla vita del Paese. Come dice il Vangelo, piove sia sui buoni che sui cattivi.
La politica, gli indirizzi che assume, lo vogliano o meno, ricadono anche sugli astenuti e le loro reazioni, la loro contro-risposta, le forme del consenso o del dissenso che esprimono. Il concorso che offrono ad incarnare le scelte della classe politica nei sistemi di vita diffusi o piuttosto per avversarli, dipendono anche, anzi in maggior misura, da loro. Concorrono al “tono” del Paese e a quel comune sentimento di fondo che orienta i giudizi e le attese e condiziona fortemente la stessa asettica analisi razionale dei temi in campo.

Le forze politiche, peraltro, per lo più fanno spallucce. Computano voti ed analizzano, comparano e rivendicano, fanno proiezione più o meno attendibili, giustificano le cattive performance oppure brindano ai successi, come si fossero giocate la partita nella piena espressione della potenzialità democratica dei vari contesti locali in cui si è votato.

In realtà, in larga misura gli italiani si sono chiamati fuori e, da bordo campo, osservano distrattamente il tabellone che reca il risultato della partita. Ai “leader” pare che, in fondo, stia bene così.: “poca brigata, vita beata…”. Come se addirittura temessero che, ove tutti gli elettori entrassero in campo, diventerebbe assai più complesso mantenere il controllo del gioco e il risultato sarebbe quanto mai aleatorio e del tutto imprevedibile. Meglio questa sorta di “combine” non dichiarata, quasi si trattasse di una reciproca desistenza tra i due poli che condividono volentieri il monopolio del match.

Purtroppo, però, questa astensione non può essere lamentata di volta in volta, senza coglierne il carattere ormai “sistemico”. Si sta creando una vera e propria assuefazione, che andrebbe esaminata soprattutto in funzione dell’elettorato giovanile e, cioè, in quanto “spalmabile” nel tempo che i prossimi decenni riservano esclusivamente a loro. Siamo, probabilmente, in presenza di una mutazione profonda, “genetica”, che molto ha a che vedere con l’ attitudine con cui le giovani generazioni affrontano oggi il mondo e la vita. In ultima analisi, si trattasse solo di disaffezione – che pur c’è e pesante – dall’attuale sistema politico, la cosa sarebbe meno preoccupante.

Questo distacco è del tutto evidente, ma funziona come un cerino nel pagliaio. Incontra, cioè, un terreno predisposto.
E’ un po’ come se alla “cittadinanza” – fattore che concorre ben più fortemente di quanto comunemente pensiamo, all’identità’ personale di ciascuno – nell’ età globale, dove lo spazio appare letteralmente sconfinato- si sostituisse ( e non è un gioco di parole ) una sorta di “erranza”, cioè un vagabondare incerto che, senza posa, mai offre approdi sicuri. Ma su questo sarebbe necessario tornare con una apposita riflessione.

Domenico Galbiati