Rischio inflazione: certo, ma guardiano al governo della Finanza – di Guido Puccio

Rischio inflazione: certo, ma guardiano al governo della Finanza – di Guido Puccio

L’impennata dell’inflazione, ormai accertata salvo capire se continuerà a crescere oppure si stabilizzerà per scendere come prevede la Banca Centrale Europea, ha già messo in evidenza nuovi scenari che si intravedono con chiarezza nel quadro economico globale.

Il primo scenario è la conseguenza dei grandi mutamenti avvenuti nella divisione internazionale del lavoro: la produzione di beni e servizi a basso valore aggiunto (i prodotti cosiddetti “poveri” tanto per intenderci) si è spostata nei Paesi dell’estremo oriente e cioè avvenuto in misura così marcata da assegnare a questi produttori il ruolo quasi di oligopolisti. Basta acquistare un elettrodomestico di sicura marca italiana o tedesca per accorgersi che il prodotto è marchiato “made in China” o comunque da quelle parti, Taiwan, Thailandia, Malesia.

Il minor costo di produzione che consegue a bassi salari e a rilevanti quantità è oggi annullato dai costi di trasporto e della logistica che sono letteralmente esplosi. E ciò vale non solo per i prodotti “consumer” ma anche per la componentistica dell’industria di larghi settori, “automotive” in testa.

Il vantaggio competitivo che era rappresentato dai contenuti di innovazione tecnologica è stato così in buona parte travolto in forza della velocità di trasmissione delle conoscenze, del sapere,  delle tecniche  non  più esclusive dei  Paesi occidentali.

Il secondo scenario riguarda l’esplosione dei costi dell’energia che è fattore produttivo di decisiva importanza nella catena  industriale e non solo. Le cause, in questo caso, sono più complesse e coinvolgono  la forte domanda degli stessi Paesi asiatici: gli obiettivi di riduzione di emissione di CO2, la riduzione dell’inquinamento ambientale, le strategie geopolitiche dei Paesi produttori ed esportatori di risorse energetiche, specialmente del gas. A questo proposito è facile immaginare il vistoso peso politico di chi detiene i più grandi giacimenti di idrocarburi, Russia in particolare, pur considerando che in ogni caso anche questi Paesi devono pur vendere il loro prodotto.

Di fatto, l’esplosione dei costi dell’energia (quello del gas ha raggiunto il seicento per cento rispetto al gennaio 2021) è un serio  fattore di rischio per la tenuta della ripresa economica post pandemia. Non è un caso che le imprese sono fortemente preoccupate delle conseguenze sui loro costi di produzione e i governi di quanto potrà conseguire in termini di aumento dei prezzi e riduzione dei consumi.

Ma c’è un terzo scenario del tutto nuovo rispetto alle crisi cicliche già conosciute e riguarda l’invasiva prevalenza della finanza rispetto alla manifattura e al commercio sino punto di travolgere le stesse leggi della domanda e dell’offerta e quindi di snaturare il mercato.

La finanza è nata come supporto alle attività produttive e mercantili per renderle più sicure e scorrevoli ed ha già conosciuto crisi epocali sin dagli anni venti dell’Ottocento, ma oggi rappresenta ormai un’attività propria. Il ricorso a strumenti sempre più sofisticati e sempre meno controllabili ha dilatato le sue dimensioni sino a provocare grandi mutamenti nel sistema: si pensi solo all’ultima disastrosa vicenda dei mutui “sub prime” negli Stati Uniti che provocò la grande crisi mondiale del 2008 oppure a quanto avviene in questi giorni nel settore immobiliare persino in Cina, dove nemmeno il regime del partito comunista  è riuscito ad evitare disastrose conseguenze della speculazione.

L’espansione senza fine degli strumenti finanziari ha favorito l’intento speculativo rincorrendo i rischi dell’andamento delle quantità di beni e dei prezzi fissati contrattualmente a una data futura, quindi a termine ( i cosiddetti “future” e i derivati).

E stato calcolato che la liquidità mondiale a fine 2019 era pari all’intera ricchezza prodotta nel mondo (88.000 miliardi di dollari) ma è una dimensione oggi superata considerato che la massa di mezzi finanziari in circolazione è stimata superiore ai  120.000 miliardi di dollari.

Ecco perché, oltre al controllo dell’inflazione e alla riduzione dei costi dell’energia, il vero compito che i governi, a tutte le latitudini, sono chiamati oggi ad affrontare è soprattutto quello di individuare strumenti chiari ed efficaci per contenere e normalizzare l’ attività finanziaria.  Dal ruolo delle banche centrali a quello degli organismi di disciplina bancaria e assicurativa; dal controllo della massa monetaria alle regole delle Borse; dalla politica fiscale ai regolamenti sovranazionali; dalle iniziative dell’Unione alle risoluzioni del G20.

Ancora una volta è chiamata in causa la politica, quella vera, nel confronto con  attività sempre più invasive che la riducono talvolta a sola parvenza di potere.

Guido Puccio