Riflessioni dopo la liberazione di Aisha Romano – di don Andrea Cristiani
Alla luce dell’ultima liberazione della cooperatrice volontaria Aisha Romano per la quale siamo stati in ansia in questi lunghi 18 mesi e che oggi sappiamo felicemente a casa, vorrei suggerire alcune considerazioni a proposito della cooperazione professionale: quella delle ONG e quella volontaria dei gruppi, delle associazioni, dei movimenti, ma anche degli individui che, animati da buoni sentimenti e sganciati da ogni realtà organizzata, si avventurano in Africa spesso non curanti dei pericoli a cui vanno incontro.
Questa materia lasciata al “fai da te” deve essere ragionevolmente disciplinata dallo Stato che, fondato sul principio della sussidiarietà, ha il dovere di vigilare sulla incolumità dei volontari e la qualità dei progetti di cooperazione. Questo perché non arrechino danno non solo ambientale ma anche culturale e umano mostrando modelli di vita irraggiungibili per i locali e contrari alle loro tradizioni e culture, indicando le false sicurezze dell’occidente e suscitando in loro desideri di fuga.
Dovrebbero essere rigorosamente banditi quei progetti dove i cooperatori vanno a svolgere mansioni che gli autoctoni possono svolgere benissimo da soli. Tutto ciò che concerne quelle attività manuali o educative che i locali possono fare da soli trattandosi di persone intelligenti, capaci, giovani e forti lo devono fare da soli. Sostenere finanziariamente un progetto è meritevole se il progetto non arreca danno e l’Africa è piena di “cattedrali nel deserto”, investimenti inutili perché non alla portata degli abitanti dei villaggi.
Deve essere tassativamente proibito lo svolgimento da parte dei volontari cooperatori di attività pratiche o educative facilmente reperibili in loco per non togliere lavoro ai residenti almeno che non abbiano una finalità formativa per la quale il Paese non abbia esperti qualificati o grave carenza di operatori come nell’ambito sanitario e tecnologico.
La progettazione va promossa solo in vista dello sviluppo scientifico e agronomico dei popoli per favorire primariamente l’accesso all’acqua, al cibo, alla scuola, alla sanità. Indispensabile è che il progetto nasca dalle necessità e dalla volontà dei locali, i quali dovrebbero intervenire nella realizzazione proporzionatamente alle loro possibilità mettendo a disposizione terreni, mano d’opera e risorse finanziarie. Questo coinvolgimento è essenziale affinché l’opera sia avvertita come propria.
Tante piccole associazioni partono animate da buoni sentimenti, ma ignare dei danni che possono fare con le loro improvvisazioni e stili di vita, anche sul piano psicologico. Fondamentale per superare questi rischi è lavorare insieme, conoscersi, confrontarsi, creare vere e proprie società fondate sull’altruismo e sulla solidarietà, convinti che solo insieme si può costruire una civiltà alternativa per la quale ci stiamo spendendo.
Un consenso formale ai progetti dovrebbe essere espresso dall’ambasciata o dal consolato locale. Fondamentale per una cooperazione efficace è il rapporto con i locali che deve essere fraterno e fiducioso improntato sul principio egualitario senza mai assumere toni di superiorità. Gli autoctoni non sono solo i beneficiari, ma anche i primi protagonisti, i primi responsabili coinvolti in tutto dalla progettazione, alla realizzazione e alla manutenzione dei progetti.
La prima attenzione dei cooperatori e di coloro che usufruiscono sarà di accertarsi che eventuali danni agli impianti possano essere riparati in loco onde evitare che tecnici e pezzi di ricambio siano introvabili ed il progetto inutilizzato venga abbandonato… E purtroppo questa non è fantascienza perché ho visto con i miei occhi apparecchi diagnostici di natura medica, dal valore di svariate migliaia di euro, abbandonati per la mancanza di pezzi di ricambio e di tecnici qualificati. A noi Shalom per le realizzazioni idriche e idrauliche ci capita di dover mandare un tecnico che deve essere sempre disponibile per risolvere i vari problemi con inconvenienti e rischi ben immaginabili. Ma l’acqua lo vale, perché è un bene di prima necessità. E’ evidente che nelle zone rosse o dove il pericolo ha un alto livello per gli europei, il cooperante o il volontario, sono tassativamente sconsigliati di operare.
Noi Shalom riusciamo attualmente a tener vivi e attivi tutti i progetti in Africa compresi quelli nei paesi del terrorismo a motivo che non abbiamo mai fatto i colonizzatori della solidarietà con tanto di espatriati, cosa che ci è stata più volte rimproverata dai governi che ci hanno negato contributi per la mancanza di espatriati in loco. Noi abbiamo tenuto duro fino ad oggi, perché consideriamo gli africani affidabili e capaci quanto noi.
Questo è stato reso possibile grazie al sostegno di grandi e piccole aziende, di cooperative, di generosi contribuenti, del 5xmille e della Cei con i fondi dell’8xmille che ci hanno reso possibile la realizzazione di grandi progetti tutti funzionanti grazie agli Shalom locali con i quali siamo permanentemente in contatto. Ci preme anche dire che nessun giovane da noi formato in questi quarantacinque anni di cooperazione si è “imbarcato” per venire da noi.
Vorrei anche lanciare un appello alle ragazze e ai ragazzi italiani: fatevi delle belle esperienze, girate il mondo, ma tornate a casa perché è da qui che potete cambiare le cose e aiutare la pace a camminare.
Se da una parte del mondo si muore di fame, 25.000 persone ogni giorno, dicono le più recenti statistiche, da noi si muore dentro per egoismo e odio. Si naufraga nella droga abbassando sempre più l’età dei consumatori, aumentando la criminalità e annientando noi stessi. L’Africa non ha bisogno di voi, ha già tanti giovani, anzi sono prevalentemente giovani, è l’Italia che ha bisogno di voi intelligenti, preparati, generosi, idealisti per diffondere generosità e premure verso gli ultimi. Impegnatevi nella politica per rimuovere lo squallore attuale e nel sociale per far crescere la dimensione umana che scarseggia ed ha raggiunto i suoi livelli più bassi. Basta leggere i social per inorridire. Una criminale macchina del fango che sparge insulsaggini e calunnie meritevoli di galera.
Tutti i progetti dovrebbero avere come priorità la formazione a tutto campo: vale più sostenere con borse di studio un medico che andare un anno in Africa; e questo vale per tutte le professioni. Alla cooperazione vera e propria si aggiungono i viaggi umanitari ai quali partecipano soprattutto i giovani. Queste esperienze sono importantissime e dovrebbero essere sostenute e promosse dallo Stato, favorendo l’accesso degli universitari come percorso determinante per la loro formazione culturale, scientifica, umana, sociale e politica affinché vedano con i loro occhi il volto dei 3\4 del mondo, per costruire ponti e capire l’urgenza di economie di giustizia. Diversi comuni si sono impegnati a mandare giovani meritevoli a scoprire l’Africa per raccontare ai loro coetanei la condizione di vita di tanti di loro.
Solo aggregazioni qualificate e di grande esperienza che possano garantire sicurezza e formazione dovrebbero essere abilitate a compiere questi servizi. Chiediamo ai nostri governanti di istituire l’elenco dei soggetti abilitati che possano non solo proporre e seguire, ma anche relazionare ed invitare i giovani ad un impegno costante per la pace e la fratellanza fra i popoli.
Un consiglio da padre alla nostra carissima Aisha: stai a casa, anche da qui puoi aiutare l’Africa, adorare Dio e magari diffondere quel messaggio di pace di cui il vero Islam è portatore. Non hanno bisogno di te. Ti salutano anche tante ragazze Shalom cristiane dell’Iraq che ho conosciuto nei campi profughi del Kurdistan iracheno e che prima di rinnegare Cristo si lasciavano tagliare la gola…ma quello è un altro islam! Non quello che io conosco e del quale fanno parte tanti membri del nostro movimento in Italia, in Senegal, in Burkina, in Costa d’Avorio, in Niger, profondamente devoti a Dio, come lo sarai tu nostra sorella nella fede e nell’amore per l’UNICO DIO. A te Aisha e a tutti gli adoratori del Dio Misericordioso auguro Buon Ramadan.
don Andrea Cristiani