I morti di Spoon River – di Giuseppe Careri

I morti di Spoon River – di Giuseppe Careri

Sono 77 i medici morti di Coronavirus, 23 gli infermieri, 10 mila i sanitari contagiati dal Covid-19. Il più giovane dei medici deceduti aveva solo 49 anni; il più vecchio 93. Tra i due estremi la maggior parte di loro aveva tra i 65 e i 75 anni.

Sono morti in silenzio dopo una vita dedicata alla professione medica; fedeli al giuramento d’Ippocrate “di prestare soccorso nei casi d’urgenza e di mettermi a disposizione dell’Autorità competente, in caso di pubblica calamità”.

Persino tanti medici pensionati, come rivela l’età, hanno risposto alla chiamata alle armi per prestare la loro opera in un momento particolarmente difficile e doloroso del nostro paese. Lo hanno fatto in silenzio, senza proclami, a volte senza armi, mascherine e tute integrali per proteggersi dal contagio.

Soffrendo accanto al malato che non poteva toccare, ma soltanto vedere attraverso una protezione fisica, cercando di dargli conforto, ma anche di riceverlo, con la speranza e la passione di salvare una vita umana a un padre, un fratello, un amico.

Dietro i numeri ci si dimentica di molti di loro, di persone umane, con una famiglia, dei figli, e una storia di sacrifici per soccorrere chi ne ha più bisogno, a costo della propria vita, come sta accadendo con l’epidemia del Coronavirus. Ma ognuno di loro ha un nome, una specializzazione e una professionalità oggi più che mai necessaria per salvare il maggior numero di vite umane.

Sorridono al paziente, lo accarezzano con lo sguardo, gli parlano, lo incoraggiano, gli chiedono di farsi forza, di aiutarlo per farlo guarire da una malattia invisibile, crudele, cattiva, impossibile fino ad oggi vincerla.

Commuove vedere tanti medici, oltre i 70 anni, mettersi di nuovo in gioco, farlo con entusiasmo, come un dovere di soldato richiamato alle armi per tornare in guerra. Medici e infermieri sono ormai tutti nostri fratelli di cui ricorderemo la loro storia, il loro impegno, la passione, spesso il dolore nel veder naufragare, a volte, i loro sforzi e l’impegno che hanno profuso per salvare una vita.

Li ricorderemo come in una Spoon River italiana, con un un ricordo, una preghiera, un abbraccio, un bacio simbolico. Sono stati i nostri soldati migliori, meglio dire dei generali, pronti ad aiutare un paese in pericolo, un paziente anziano, un giovane che con gli occhi implora di non abbandonarlo, di tenerlo in vita. Uomini e donne magnifici, con il senso del dovere e del sacrificio.

Certo, alcuni medici e infermieri si sarebbero potuti salvare se avessero avuto tutti i dispositivi per proteggersi dal virus; come denunciato più volte dall’Ordine dei Medici; li abbiamo mandati al fronte senza armi, a mani nude, hanno detto alcuni dirigenti e molti colleghi.

E’ stata una battaglia difficile per loro e per tutti i cittadini di questo strano paese che in questa circostanza drammatica si è fortunatamente ricompattato, seguendo le regole dettate dal Governo di rimanere chiusi in casa per contenere il più possibile il contagio.

I dati letti oggi da Angelo Borrelli Capo della Protezione civile parlano di 2.339 nuovi contagi. I decessi 766 e i guariti 1.480. Complessivamente i malati di Coronavirus sono 85.388; il totale dei morti oltre 14 mila.

Continua intanto lo sforzo collettivo di medici, infermieri e di tutta la struttura sanitaria per alleviare il più possibile la vita dei pazienti ricoverati in terapia intensiva. Resta in primo piano il tentativo dei sanitari di salvare il più possibile vite umane, anziani e non, attraverso la loro competenza e professionalità.

“In una lunga malattia, tossendo a morte, lessi la poesia di Gesù. Questi mi accesero una torcia di speranza e di desiderio che l’Ombra, traendomi in fretta per le caverne del buio, non poté spegnere”, recita una passo del libro di Edgard Lee Masters

Domani, come in una Spoon River moderna, racconteremo ai nostri figli e nipoti il dramma del Coronavirus e del loro sacrificio, altruismo, tenerezza e l’abbraccio affettuoso rivolto verso tutti i malati che curavano con grande umanità.

E’ un ricordo che gli dobbiamo per la memoria, per essersi sacrificati per gli altri in nome della solidarietà e in nome dell’amore.

“Ce la faremo”

Giuseppe Careri