La crisi della pubblicità sui giornali. “Carenze” di un settore e di una categoria
La pubblicità cala a picco sui giornali italiani. La conferma, purtroppo, di un fenomeno che viene da lontano e che è destinata a far emergere tutti i limiti ed i problemi della stampa e del sistema della comunicazione del nostro Paese.
Già sono stati preannunciati riduzioni degli organici di molti giornali, anche “prestigiosi”, ed il calo della raccolta pubblicitaria può solo ulteriormente aggravare una crisi cui hanno contribuito anche i limiti di una categoria, quella dei giornalisti, la quale ha sempre puntato, come del resto hanno esclusivamente fatto gli editori più o meno “puri”, sulle provvidenze pubbliche piuttosto che su di un autentico radicamento reale in mezzo ai lettori.
I dati dell’Osservatorio stampa Fcp relativi al periodo gennaio-agosto 2013, rapportati al 2012, parlano chiaro: il fatturato pubblicitario del complesso del mercato della stampa ha registrato un calo del 23,4 per cento. In particolare, soffrono di più i quotidiani a pagamento con la riduzione del 22,4 per cento del fatturato.
I periodici segnano un calo del 25,3 per cento, i settimanali registrano -26,6 per cento, i mensili un -25,1 per cento. Un vero e proprio tracollo
Forse è venuto il momento di una “riforma” di tutto il settore senza ripensare a reintrodurre i famosi pubblici “aiuti all’editoria”, e qui sarebbe il caso di approfondire la questione per vedere se davvero i fondi non siano più erogati ai “soliti”, ma provvedendo soprattutto all’apertura del mercato a veri editori senza che la stampa italiana continui ad essere in mano, nella realtà, a banche, gruppi finanziari, industrie e strutture economiche, in maniera più o meno occulta.
C’é la necessità di “rompere”, non solo per quanto riguarda la televisione, dipendenze, connivenze e “servitù” che hanno sempre limitato la libertà d’azione e d’informazione dei giornalisti e della stampa italiana per la presenza incombente, non solo della della politica, cui pensiamo subito tutti, ma anche dei ben più forti interessi economici e finanziari di cui non vuole parlare quasi mai nessuno.
Adesso che anche le cosiddette “grandi aziende” hanno problemi di bilancio e pure la necessità di “giustificare” i loro investimenti pubblicitari ecco che tagliano il flusso di denaro destinato a giornali e giornalisti. I quali, improvvisamente, scoprono tutti i limiti delle loro prospettive.
Giancarlo Infante