Verso la riforma fiscale internazionale? Necessaria per far pagare le tasse a tutti
I governi rischiano il caos fiscale mondiale a meno che non venga rivisto completamente il regime di tassazione internazionale. Queste le conclusioni cui giunge un rapporto commissionato dal G20 all’ OCSE, Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, per reprimere le sempre più discutibili e discusse pratiche fiscali delle aziende multinazionali.
Il rapporto, a lungo atteso, preparato per una riunione dei ministri delle finanze del G20 a Mosca, che si terrà questo fine settimana, auspica una “mossa coraggiosa da parte dei politici”, necessaria per evitare un peggioramento della situazione. L’OCSE definisce le proposte “un punto di svolta nella storia della cooperazione internazionale in materia di imposte”.
Il piano d’azione prevede 15 iniziative da armonizzate tra le autorità fiscali di tutto il mondo, nell’arco temporale tra i 12 e i 30 mesi, ed individua gli strumenti per intervenire in alcune delle aree dell’economia più sfruttate dagli evasori ed elusori multinazionali.
Tra i punti salienti sono l’indicazione di informazioni aggiuntive che le multinazionali dovranno comunicare a tutte le autorità fiscali; richieste per aziende come Amazon, con estese reti di magazzino in un paese, di pagare più tasse a livello locale; interventi a carico di multinazionali proprietarie di beni ad alto valore immateriale, come, ad esempio, i marchi e diritti di proprietà intellettuale.
La relazione parte dal presupposto che il sistema fiscale è arretrato ed impotente di fronte a imprese multinazionali mobili che hanno trovato innumerevoli modi per evitare le tasse, spesso spostando i loro immensi profitti in paesi a bassa tassazione.
Su queste questioni si era molto impegnato al vertice G8, organizzato in Irlanda del Nord qualche settimana fa, il Primo Ministro britannico, David Cameron, che sferrò un forte attacco contro i cosiddetti paradisi fiscali ed invitò gli altri paesi ad aumentare la condivisione delle informazioni sulla posizione fiscale delle imprese.
“Questo rapporto – ha detto Cameron- mostra come i contribuenti, i governi e le imprese tutte soffrono quando alcune aziende manipolano il sistema fiscale per evitare di pagare la loro giusta quota di tasse. Ecco perché ho messo la questione al centro della nostra agenda G8.
Sono adesso felice che l’OCSE abbia raccolto la sfida impegnandosi a fissare, entro il prossimo mese di settembre, nuove regole per un modello fiscale comune che richiederà alle multinazionali di rivelare dove guadagnano i loro profitti e dove pagano le tasse”.
Il lavoro dell’OCSE, finanziato dal G20, è stato progettato per esaminare i cambiamenti internazionali intervenuti in materia di diritto tributario e ciò che sarebbe necessario per permettere ai governi nazionali di mettere l’evasione fiscale “legalizzata” delle imprese sotto controllo. Ad esempio, facendo loro pagare più tasse là dove è stato realmente creato il valore aggiunto di un prodotto o di servizio.
Il rapporto avverte che “l’inazione in questo settore porterebbe probabilmente al risultato di far perdere ad alcuni paesi il gettito fiscale delle imprese, oltre che la sostituzione dell’attuale quadro sociale, basato oggi sul consenso, da misure unilaterali che potrebbero portare al caos fiscale globale”.
Il quale, a sua volta, potrebbe favorire il riemergere della doppia imposizione, con la conseguenza che due paesi cercherebbero di tassare lo stesso reddito, della stessa società.
Il rapporto, guardando anche alla situazione democratica, avverte: “Il modo in cui le multinazionali hanno notevolmente ridotto al minimo il loro onere fiscale ha portato ad una situazione di tensione in cui i cittadini sono diventati più sensibili ai problemi di equità fiscale.”
L’obiettivo più ambizioso indicato dal rapporto è quello di convincere i singoli paesi ad inserire le loro convenzioni fiscali bilaterali in un quadro multilaterale, per bloccare le operazioni delle aziende dirette ad eludere o evadere il pagamento delle tasse.
La relazione sottolinea, inoltre, che “il coinvolgimento di paesi terzi nel quadro bilaterale stabilito mette a dura prova le norme esistenti, in particolare se vengono utilizzate società di comodo che hanno poca o nessuna sostanza in termini di attività e presenza “reale” come spazio per uffici, attività materiali e dipendenti e sono solo delle scatole finanziarie vuote”.
Le multinazionali, pertanto, sono state e sono in grado di utilizzare un’applicazione errata delle norme che definiscono il reddito separato dalle attività economiche che producono tale reddito e di spostarlo verso paesi con oneri fiscali più bassi. L’OCSE ricorda inoltre che “vi è una crescente discrepanza tra il luogo in cui avviene la creazione del valore delle attività e degli investimenti e quello in cui sono realizzati i profitti.
Non mancano, comunque, i critici e gli insoddisfatti che indicano i limiti del rapporto. Alcuni attivisti anti-povertà sostengono, infatti, che su quella linea noi si va molto lontano. “L’OCSE ha fatto poco per dissipare la sua reputazione di essere un club per ricchi ed ha escluso la partecipazione attiva dei paesi in via di sviluppo nella definizione dell’ordine del giorno della riforma fiscale”, sostiene il Financial Transparency Coalition (FTC), gruppo di coordinamento tra enti di beneficenza come Christian Aid, Global Witness, Global Financial Integrity, Tax Justice Network e Transparency International.
Alcuni gruppi di questo coordinamento vogliono vedere, invece, se è possibile sostituire con un nuovo modello – denominato tassazione unitaria – le molte centinaia di trattati fiscali bilaterali esistenti, in modo da giungere ad una ripartizione equa degli utili imponibili da parte delle multinazionali in territori in cui si verificano le attività economiche.
John Balcony