La fine dei sogni di gloria di Salvini

Il povero Salvini ce l’ha messa tutta, ma non ha potuto evitare la figura del minchione che si è fatto soffiare da Giorgia Meloni un bottino elettorale di tutto rispetto.

Non gli sono bastati i respingimenti in mare e i porti chiusi, la caccia alle ONG, i toni rudi ed i modi spicci, la guerra alla Fornero, i condoni fiscali e la “tassa piatta”, le pose da sceriffo e da giustiziere al citofono. Non gli è bastato blandire i “no-wax”. E neppure spaventare gli italiani, invocare la difesa dei sacri confini dalla marea montante dei migranti, sollecitare, di fatto, sentimenti di diffidenza e di ostilità nei loro confronti.

Ci ha provato anche con i rosari in piazza, ma ora non sa letteralmente più a che santo votarsi. Giorgia avanza. E neppure è bastato tornare, sul pratone di Pontida, allo spirito delle origini. Niente da fare. Non gli è bastato promettere l’ “autonomia differenziata”. Men che meno il Ponte sullo Stretto. Insomma, a quanto pare, è questione di “physique du role”. “Leader” si nasce, non si diventa e la Meloni c’è nata ben più del povero Matteo.

Ad ogni modo, se pur ha sperato, a suo tempo, di poter essere lui assiso a Palazzo Chigi, si metta il cuore in pace.

Con il “premierato”, così come sembra porsi, è già molto che, al soglio di Giorgia, possa continuare a vestire i panni del valletto.