I neofascisti e le “timidezze” di Giorgia Meloni – di Giancarlo Infante

Roma ed altre importanti città italiane sconvolte dalla violenza dei “no vax”. Troppi gli elementi per non vederci dietro quel tipo di squadrismo politico di cui si conoscono le tecniche dell’infiltrazione e della strumentalizzazione di proteste che, nate in un modo, finiscono in un altro. A sinistra, abbiamo visto la stessa cosa con i “no tav”. Adesso, siamo ai “no green- pass”, ma il tasso di follia è lo stesso.

Certo, bisognerebbe che al Viminale si facesse un’attenta riflessione su prefetti e questori che hanno chiuso gli occhi troppo a lungo per il quieto vivere. Come recentemente accaduto per il “rave party” del viterbese. Forse, sarebbe bene ripassare le vicende degli anni ’70 per non ritrovarsi, poi, con il vedere all’opera gruppi sempre più organizzati e indirizzati verso una brutta china.

Non è tollerabile vedere Palazzo Chigi sotto assedio o assistere all’assalto della sede della Cgil da parte di notori e patentati fascisti. Bisogna che qualcuno finisca davvero in galera, per tempo e a lungo, altrimenti ricominceremo a rivivere vecchie, dolorose, terribili esperienze.  Gratta gratta, sono sempre gli stessi che, a seconda dei casi, s’infiltrano tra i tifosi delle curve degli stadi ridotte a “fossa dei leoni” o tra i “no” contro qualcosa, qualunque cosa sia; impunemente lasciati circolare con le loro braccia tese nel saluto romano e con i loro messaggi antisemiti e razzisti.

Matteo Salvini e Giorgia Meloni, soprattutto taluni loro luogotenenti, a lungo sono sembrati impegnati in gara tra chi meglio corteggiasse e si avvalesse dei servigi di casa Pound o di Forza Nuova, o come cavolo si chiamano questi facinorosi che, nonostante raccolgano ad ogni elezione appena una manciata di voti, si dicono fascisti o, addirittura, nazisti. Dei poveretti che non sanno neppure di che cosa parlano. Per mesi e mesi, i due leader del centrodestra hanno dato spago ad una irrazionale ostilità verso le norme più necessarie per ridurre la pandemia. Come ricorda Domenico Galbiati ( CLICCA QUI ) chi semina vento raccoglie tempesta. E serve a poco esprimere la solidarietà al segretario della CGIL o stigmatizzare la violenza, ma solo quando non se può proprio fare a meno tanto ne è evidente la stupidità e l’inutilità. E serve a poco avere a disposizione dei giornalisti televisivi, “servitori”, che mischiano le violenze romane con una presa di posizione contro gli immigrati. Si tratta di quella voluta confusione mediatica che conferma di avere una cattiva coscienza.

“Gli utili idioti della sinistra”. Così Giorgia Meloni definisce i nostalgici neofascisti che tra le sue fila sembrano tanto metterla in imbarazzo. In realtà, la sua recente uscita è legata soprattutto alle notizie sulla cosiddetta “lobby nera”. Uno scandalo su cui sta intervenendo la magistratura, e su cui non esistono ancora elementi certi per esprimere un giudizio. Noi che non crediamo in alcun giustizialismo, che sia esso di destra, di sinistra o d’impronta “grillina”, prendiamo atto dell’avio di una vicenda giudiziaria che c’è. Ma non la brandiamo come invece un po’ tutti hanno fatto e fanno tuttora, se qualcuno degli “altri” incappa in manette o in avvisi di garanzia. Un giustizialismo che va sempre solamente a danno degli avversari politici.

Non dimentichiamo il cappio esposto trent’anni fa dalla Lega in Parlamento. Neppure il lancio di monetine contro Bettino Craxi per il quale, lo abbiamo scoperto dopo, si organizzarono esponenti della destra romana. Tra di loro quel “Batman di Anagni” poi travolto, e condannato, per un grosso scandalo esploso alla Regione Lazio. Non dimentichiamo neppure quanti hanno seminato un clima da antipolitica, quasi mettendosi in gara con il “vaffismo” di Beppe Grillo. Sul peloso moraleggiare della sinistra sono già stati scritti interi volumi a sufficienza e basta limitarsi a questo.

Il problema è che non si ha il coraggio di vedere bene cosa accada in casa propria per raccattare qualche voto in più e per creare un clima di tensione al fine di poter dire che “c’è del marcio in Danimarca” e, dunque, offrirsi come uomo o donna d’ordine.

Andando alla questione più politica che riguarda Giorgia Meloni, meraviglia che ella si meravigli di chi contesta l’ipoteca neofascista su cui è appiattito il suo partito. Intanto, partiamo dal simbolo di Fratelli d’Italia. Non ce l’abbiamo messo noi quel cerchio con la fiamma tricolore nel cerchio più grande di FdI. Passando da Alleanza nazionale, sta a segnare il collegamento diretto con quel partito neofascista che fu il Movimento Sociale. Un’insistenza che, dopo i passaggi governativi avuti con Berlusconi e Bossi, e dopo la partecipazione al Popolo delle Libertà, poteva essere messa in soffitta.

Poi, c’è la sostanza. Sia la Lega, sia Fratelli d’Italia si sono avvalsi spesso del sostegno di gente come quella di Forza Nuova e di casa Pound. Gli stessi che ieri hanno messo a soqquadro il centro di Roma e assediato la sede della Cgil. La Meloni può provare a fare tutti i distinguo che vuole, ma chi vive a Roma ha l’impressione che, nella sostanza, ci si trovi di fronte ad un “tutt’uno”. Un “tutt’uno” che appare far tornare davvero molto indietro le lancette dell’orologio della destra italiana. A ben prima dei giorni che segnarono la presenza di personaggi, ad esempio, come Giuseppe Tatarella e di tanti altri che ebbero il coraggio, la forza e la capacità di fare i conti con la storia e seppellire quel che c’era da seppellire.

Invece di chiedere di visionare le cento ore di filmati girati da un giornalista che, presentandosi sotto mentite spoglie, ha fatto toccare con mano cosa bolle in pentola nella sua casa politica, Giorgia Meloni farebbe bene a cominciare ad espellere da Fratelli d’Italia chi se lo merita. Ne troverebbe un po’ persino tra i suoi gruppi parlamentari, tra i suoi eletti localmente e tra tanti suoi sostenitori. Non dovrebbe neppure faticare a trovare una originale motivazione. Basterebbe che, in autonomia, applicasse la XII.ma norma transitoria della Costituzione sul divieto di ricostituzione del disciolto partito fascista. Ne trarrebbero un giovamento sia lei, sia la democrazia italiana.

Giancarlo Infante