Il Codice Rosso nasce, dunque, per proteggere il più possibile le persone sottoposte a violenza sessuale, da chi ha subito lesioni permanenti, a coloro sottoposte alla gogna mediatica per la pubblicazione di immagini vistosamente a
contenuto sessuale. La persona offesa ha tempo fino a sei mesi per effettuare la denuncia, e la remissione della querela può essere decisa soltanto dal giudice e non dalla polizia dove è stata presentata l’istanza nei giorni procedenti.
Bene, dunque, la nuova legge chiamata Codice Rosso. L’aumento delle pene nella nuova legge sarà un deterrente contro la violenza a sfondo sessuale, oppure a impedire la pubblicazione di immagini sessualmente esplicite. Ma la pena di per se non può eliminare il problema della violenza di genere. Occorre, ancora una volta, ricorrere all’educazione familiare in simbiosi con la scuola che insegni, finalmente, ai ragazzi e agli stessi genitori, il rispetto dell’altro, della donna e delle persone più deboli.
Siamo ormai in un’epoca in cui la diffusione dei mezzi di comunicazione di massa è ormai generalizzata: dai telefonini, ai computer, ai social, Instagram, Facebook, Telegram. La facilità di scattare foto, fare filmini, sia pure per divertimento, non devono poi portare a un’esasperazione e a un utilizzo vietato dalle convenzioni e dalle leggi.
Occorre che ognuno di noi si faccia parte dirigente, chiarisca le problematiche della vita e delle regole con i propri figli, per evitare distorsioni non sempre accettabili. Sul Revenge Porn occorre una riflessione più profonda. Ormai con uno smartphone è possibile scattare foto, girare filmati, inserirli facilmente nei social e quello che sembra del tutto naturale spesso non lo è; a volte è facile deragliare per entrare in un terreno “minato” per sé e gli altri.
Pubblicare un video sessualmente esplicito per gioco, per fare uno scherzo a un amico/a può rovinare l’esistenza di una vita.