Boiardo, chi era costui? Il termine boiardo, o anche boardo e boiaro come si legge su Wikipedia, tra il X e il XVII secolo, ma fino agli anni ’20 del XX secolo in Romania, indicava i componenti dell’alta aristocrazia feudale russa, rumena, ucraina e bulgara, che per potere e influenza erano inferiori solo ai principi regnanti. Una categoria, quella dei boiardi, che peraltro ovunque scomparsa, regna tuttora più solida che mai tra noi pur a dispetto della crisi che indica il consistente manipolo dei mega dirigenti delle aziende di stato soliti trasferirsi da una poltrona all’altra come soci vitalizi di prestigiosi quanto esclusivi sodalizi e club. Ma quanti sono in Italia i bei boiardi, di stato s’intende, ma che non di rado trovano posto su strapuntini e poltroncine anche in quel privato assai sensibile alle “segnalazioni” dei potenti, che si fregiano a ragione del titolo e soprattutto di redditi annui spesso anche pluri milionari?
Tra poco, nella primavera ormai quasi alle porte, è prevista una grande tornata di nomine, o meglio, il valzer delle poltrone. Che, nonostante proclami ed editti di rinnovamenti, finirà per interessare sempre gli stessi nomi, quasi si stesse giocando a Monopoli. A meno che il giovanotto neo segretario Pd riesca, o meglio gli faccian mettere le mani sulla lista. Sempre poi che questa lista gli sia data completa, e senza la
Matteo Renzi giura a tutti che personalmente intende tenersi fuori da questa roba che per età non l’hai mai visto come protagonista, roba vecchia, in qualche caso anche più antica della prima repubblica, che non deve neppure finire dal rigattiere ma che deve solo esser distrutta, eliminata. Già, perché col rigattiere, ci sarebbe poi il rischio di vedersela rifilata sotto le spoglie del “vintage”.
Ma lo scetticismo al riguardo impera, e sono in pochi a credere alle parole del sindaco di Firenze. Anche se è certo che il segretario non intende lasciare il boccino a disposizione del compagno-amico-aversario
Nella “Top Ten” dei boiardi in odor di riconferma spicca l’Amministratore delegato dell’Eni, Paolo Scaroni, dall’ultimo stipendio conosciuto di 3 milioni e 948 mila euro annui, non si sa però se al netto di qualche immancabile sostanzioso bonus. E il recente invito di Scaroni nell’ambito salotto di Vespa, presente guarda caso Renzi, ha fatto schizzar alle stelle le quotazioni del mega dirigente che amministra l’Ente Nazionale Idrocarburi. Forte rialzo dovuto anche a seguito del “duetto” tra i due, molto dal sapor di “latte e miele”. Che il rinnovatore Matteo sia estimatore pure dell’antiquariato spinto?
Non vorremmo che anche stavolta, alla faccia di tutte le dichiarazioni di novità e di largo alle nuove
E come fare per adeguare i super stipendi dei manager alle nuove disposizioni in base al decreto disposto proprio da Saccomanni che fissa il tetto massimo delle retribuzioni a quota 302 milioni e 937 mila euro lordi annui, pari al trattamento del primo presidente della Cassazione? E’ vero che i manager delle cosiddette “quotate” sono esentati dal “tetto”, ma che male ci sarebbe a fissarlo, magari in misura adeguata e accettabile, pure per loro? Per il momento, l’unico in regola, è ciò dimostrerebbe che “si può fare”, dovrebbe essere l’ex capo della Polizia Gianni De Gennaro, cha, quale Presidente di Finmeccanica,
Oppure il “decreto Saccomanni” verrà tenuto in cantina facendo finta di niente, continuando a corrispondere fior di milioni a Fulvio Conti (Enel), Flavio Cattaneo (Terna), Vito Riggio (Enav), Alessandro Pansa (Finmeccanica), Moretti (Ferrovie), Bernabè (Telecom fino a ottobre 2013, in attesa di ricollocazione) e i tanti altri che fanno parte della cospicua schiera dei boiardi, come se si vivesse in Romania fino agli anni venti? Riuscirà il giovane Matteo a metter ordine e a fare pulizia in questa assurda jungla di privilegi che suona come sonori schiaffi ai milioni di italiani che a malapena giungono a fine mese e che per vivere in tanti non riescono neppure a pagare le tasse? Ma, soprattutto, glielo faranno fare?
Enrico Massidda