Per scelta, quella di Walter Chappel (1925-2000) è sempre stata un’arte al di fuori dei circuiti commerciali e del business. La sua opera è infatti rimasta a lungo nascosta e ancora oggi, nonostante i suoi scatti appartengano a prestigiose collezioni, come quella del Moma di New York, non gli è stato pienamente riconosciuto il ruolo di protagonista che merita nella fotografia americana del XX secolo. Nato a Portland, ha vissuto una vita appartata e bohemien rifiutando l’ambiente ufficiale della fotografia. Dopo aver studiato architettura, pianoforte e composizione musicale, è durante un’escursione sciistica che incontra l’artista Minor White di cui srarà allievo, sposandone la ricerca fotografica spirituale ed intimista. Chappel diventa un indagatore del corpo umano, fulcro di tutta la sua ricerca, al quale associa forme naturali e del paesaggio.
Quello che sorprende nelle sue immagini è lo sguardo pudico, intimo, a volte erotico, ma sempre infinitamente dolce. I suoi soggetti si abbracciano, si scambiano calore, si sfiorano, che si tratti di esseri umani o di profili di rocce perfettamente incastrate come in un bacio. Tutto è prezioso nella sua fotografia: l’acqua, la sua purezza ed i suoi riflessi, così come i gesti delicati e lenti o i dettagli, che il fotografo sceglie di mettere in evidenza con estrema cura. Chappel ama il corpo e lo libera nella natura celebrandone la potenza, ma anche il bisogno di protezione, in un gioco di corrispondenze e chiasmi tra forme. Fatati sono gli scatti appartenenti al portfolio presentato nel 1980 con il nome di “Metaflora”. Si tratta di una lunga sperimentazione partita nei primi anni 70 durante la quale Chappel indaga la fotografia elettronica, attraverso una speciale tecnica ad alto voltaggio. Il risultato sono delle immagini di piante o piccoli insetti luminescenti, irradiati di una luce magica che ne accende i corpi come una nuova linfa vitale.
Beatrice Zamponi