L’ultimatum per lo sgombro della grande piazza Maiden divenuta il simbolo della contestazione antigovernativa ucraina contro il Presidente Viktor Yanukovich era stato annunciato dalle autorità di Kiev per le 17, con l’avvertimento che alle 18 sarebbe intervenuta la polizia con la forza. E così è stato, poiché i manifestanti non si sono allontanati. Sono arrivati tre mezzi corazzati e sono di nuovo esplosi ancora più violenti gli scontri tra gli agenti e i dimostranti. Le forze di sicurezza hanno cominciato ad usare gli idranti contro la folla, nel tentativo di disperderla. E’ stata poi la volta delle cariche degli agenti che hanno poi dato alle fiamme le tende che da tre mesi avevano trasformato la piazza Maidan in un accampamento presidiato giorno e notte. Un grande falò che lancia sinistri bagliori nel buio della notte. Il bilancio si è aggravato. Ora si parla di almeno 13 morti, 7 i civili e 6 uomini delle forze di polizia. Centinaia i feriti.
Cinque dei primi sei morti sarebbero stati tra i civili, metre la sesta vittima, invece, è stata il primo dei poliziotti caduti. Due dei morti sarebbero già stati identificati in Serghii Didik, consigliere comunale in una città della regione di Ivano Frankivsk, nell’Ucraina occidentale, e di Volodimir Kishuk di Zaporizhia, dell’Ucraina sud-orientale. Tra i 150 feriti anche una quindicina di giornalisti, tra cui inviati delle Agenzie Associated Press e Reuters.
Subito dopo l’annuncio dell’ultimatum, il leader dell’opposizione ucraina, Vitali Klitschko, certo dell’attacco, aveva invitato le donne e bambini presenti a lasciare la piazza. Mentre da parte governativa si cercava di calmare, invano, la tensione con l’annuncio per domani mercoledì di un incontro tra il presidente ucraino Yanukovich e i leader dell’opposizione, la Russia dava la colpa all’Occidente di aver incoraggiato i manifestanti a provocare disordini. Forte è la preoccupazione internazionale per la situazione e Waschington lancia un duro monito al presidente ucraino.
Veronica Gabbuti