“Io sono un peccatore. Questa è la definizione più giusta. E non è un modo di dire, un genere letterario. Sono un peccatore”. E’ Papa Francesco che parla di se stesso. Lo fa con una intervista concessa ai suoi confratelli gesuiti della Cività cattolica.
E’sicuro: credenti e non resteranno colpiti dalla seguente frase, a cui però non deve essere ridotta un’intervista destinata a lasciare una traccia profonda nella presenza e del ruolo della Chiesa cattolica nella società contemporanea: «Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi”. Francesco in questo senso si riferisce anche ai cristiani divorziati risposati. Egli non indica delle nuove soluzioni a questi problemi. Li ricorda facendo intendere che lo spirito con cui ci si deve muovere verso situazioni delicate non rischiare di perdere la freschezza e il profumo del Vangelo.
Il Papa arriva a questa frase, e va oltre sulla scia di un ragionamento che ha come sentimento ispiratore ed obiettivo la necessità di collocare la Chiesa in sintonia con il mondo, non per adeguarsi al mondo, ma per servire il mondo alla luce del messaggio di Cristo.
Francesco si riferisce al versetto del Vangelo in cui si narra della chiamata dell’evangelista Matteo. Una scena meravigliosamente illustrata dal Caravaggio nella cappella ContarChiesa di San Luigi dei francesi a Roma: “Gesù vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi» (Mt 9, 9). Vide non tanto con lo sguardo degli occhi del corpo, quanto con quello della bontà interiore. Vide un pubblicano e, siccome lo guardò con sentimento di amore e lo scelse, gli disse: «Seguimi». Gli disse «Seguimi», cioè imitami. Seguimi, disse, non tanto col movimento dei piedi, quanto con la pratica della vita. Infatti «chi dice di dimorare in Cristo, deve comportarsi come lui si è comportato» (1 Gv 2, 6). Quindi la scelta basata sull’amore che supera il giudizio sulla condizione umana del prescelto.
Francesco non si sottrae neppure alle domande che gli sono rivolte sul perché ha deciso di farsi prete tra i gesuiti e sul resto delle sue esperienze, per poi giungere alla questione centrale. Quella della Chiesa che lui vede come un vero e proprio “ ospedale da campo”: Io vedo con chiarezza — prosegue — che la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità. Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite. Poi potremo parlare di tutto il resto. Curare le ferite, curare le ferite… E bisogna cominciare dal basso».
Il Papa, lo si avverte leggendo l’intervista crede con passione in quello che dice:«La Chiesa a volte si è fatta rinchiudere in piccole cose, in piccoli precetti. La cosa più importante è invece il primo annuncio: “Gesù Cristo ti ha salvato!”. E i ministri della Chiesa devono innanzitutto essere ministri di misericordia. Il confessore, ad esempio,
«Come stiamo trattando il popolo di Dio? Sogno una Chiesa Madre e Pastora. I ministri della Chiesa devono essere misericordiosi, farsi carico delle persone, accompagnandole come il buon samaritano che lava, pulisce, solleva il suo prossimo. Questo è Vangelo puro. Dio è più grande del peccato. Le riforme organizzative e strutturali sono secondarie, cioè vengono dopo. La prima riforma deve essere quella dell’atteggiamento. I ministri del Vangelo devono essere persone capaci di riscaldare il cuore delle persone, di camminare nella notte con loro, di saper dialogare e anche di scendere nella loro notte, nel loro buio senza perdersi. Il popolo di Dio vuole pastori e non funzionari o chierici di Stato. I Vescovi, particolarmente, devono essere uomini capaci di sostenere con pazienza i passi di Dio nel suo popolo in modo che nessuno rimanga indietro, ma anche per accompagnare il gregge che ha il fiuto per trovare nuove strade». «Invece di essere solo una Chiesa che accoglie e che riceve tenendo le porte aperte, cerchiamo pure di essere una Chiesa che trova nuove strade,
Poi giunge una domanda importante sui “cristiani che vivono in situazioni non regolari per la Chiesa”, come i divorziati risposati e le coppie omosessuali.
«Dobbiamo annunciare il Vangelo su ogni strada, predicando la buona notizia del Regno e curando, anche con la nostra predicazione, ogni tipo di malattia e di ferita. A Buenos Aires ricevevo lettere di persone omosessuali, che sono “feriti sociali” perché mi dicono che sentono come la Chiesa li abbia sempre condannati. Ma la Chiesa non vuole fare questo. Durante il volo di ritorno da Rio de Janeiro ho detto che, se una persona omosessuale è di buona volontà ed è in cerca di Dio, io non sono nessuno per giudicarla. Dicendo questo io ho detto quel che dice il Catechismo. La religione ha il diritto di esprimere la propria opinione a servizio della gente, ma Dio nella creazione ci ha resi liberi: l’ingerenza spirituale nella vita personale non è possibile.
«Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi.
L’intervista prosegue ancora ed alla fine resta la necessità di riflettere su quello che emerge dal pensiero e dalle prospettive di Francesco: una Chiesa rinnovata e capace di riprendere pienamente il dialogo con il mondo.
Red