L’ Olanda è stata condannata a pagare un risarcimento per le morti di alcuni musulmani bosniaci avvenute nel 1995 nel corso del terribile massacro di Srebrenica. Si tratta di una sentenza che potrebbe portare ad altre richieste di risarcimento da parte dei parenti del resto degli 8.000, tra uomini e ragazzi, uccisi dalle truppe serbe in Bosnia.
La sentenza della Corte Suprema olandese è frutto dalla lunga battaglia legale condotta, per oltre dieci anni, dai parenti di tre bosniaci musulmani non difesi dai soldati olandesi inseriti nel contingente della forza di pace della Nazioni Unite impegnato durante quel violento conflitto. I tre, abbandonati al loro destino, furono poi uccisi dalle forze serbo-bosniache.
Si tratta di un importante precedente legale per tutte le missioni Onu organizzate in giro per il mondo per contenere le parti impegnate in un conflitto. Perché gli stati potrebbero essere chiamati a rispondere per la condotta dei militari impiegati sotto le insegne delle N azioni Unite.
Il caso è stato sollevato da un interprete bosniaco utilizzato dalle truppe olandesi. A causa della strage compiuta dai serbo-bosniaci ha perso un fratello ed il padre. Con lui, a sfidare lo Stato olandese c’è stato il parente di un’altra vittima. I due hanno chiesto al Tribunale che venisse riconosciuta la responsabilità dei caschi blu olandesi perché si erano ben guardati dall’intervenire per impedire la strage o, almeno, per limitare il numero delle vittime tra coloro che avevano cercato rifugio nella sede delle Nazioni Unite.
Migliaia di famiglie musulmane fuori così costrette a consegnarsi inermi nelle mani dei nemici. Isolati gli uomini ed i ragazzi, iniziò una vera e propria esecuzione di massa. I corpi di circa 8.000 furono sepolti in fosse comuni scavate in fretta poi venute alla luce suscitando l’orrore di tutto il momdo.
La responsabilità di quel massacro costituisce uno dei principali capi d’accusa per cui il generale Mladic è finito sotto processo di fronte al Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia (ICTY) dell’Aia.
La sentenza della Corte olandese ha stabilito che nel caos di quei momenti i comandanti delle Nazioni Unite non avevano più il comando delle truppe sul terreno e che, pertanto, il “controllo effettivo” era da considerarsi di diretta responsabilità delle autorità olandesi.
L’avvocato dei diritti umani Liesbeth Zegveld, rappresentante delle famiglie bosniache, ha definito storica la sentenza storica perché viene stabilito il principio che i paesi coinvolti nelle missioni ONU restano legalmente responsabile per eventuali reati commessi dai loro militari, nonostante l’immunità di cui godono le Nazioni Unite. “Le persone, ha detto Zegveld, che partecipano a missioni ONU non sempre sono coperte dalla bandiera delle Nazioni Unite”.
Alessandro Di Severo