La tensione in Medio oriente è alle stelle. Da Mosca giunge l’annuncio che due missili sarebbero stati lanciati verso la costa siriana. E’, però, la stessa Ambasciata di Mosca a Damasco a precisare che dei missili in Siria non si è visto neppure l’ombra. Resta un mistero su questa notizia che inizialmente è stata smentita anche da funzionari di Israele. Poi, giunge la precisazione: abbiamo lanciato un missile in mare nel corso di un test effettuato assieme agli statunitensi. Il missile apparterrebbe al tipo di quelli utilizzati nei sistemi di difesa antimissile. Intanto, però tutte le cancellerie mondiali erano andate in fibrillazione.
La conferma del nervosismo che cresce a mano a mano che le acque del Mediterraneo si riempiono sempre più di navi da combattimento. Se gli americani stanno incrementando la loro flotta. La marina russa non è da meno ed annuncia che un’altra unità per la lotta ai sottomarini è diretta verso le coste siriane.
E’ anche tutto un fiorire di informazioni e “rivelazioni” che se in alcuni casi rischiano di confondere le idee, in altre lasciano aperti spiragli di ottimismo sulla possibile soluzione della crisi senza il bisogno che parlino le armi.
Questo sarebbe il piano che Putin avrebbe intenzione di presentare a Barck Obama e agli altri principali leader internazionali nel corso del G 20 organizzzato a Mosca il 5 ed il 6 Settembre. Le armi chimiche sarebbero consegnate ai siriani nuovamente allorquando questa crisi possa essere considerata superata da trattative di pace.
Al- Assad sarebbe stato informato sul progetto emerso dopo i colloqui intercorsi tra il Presidente russo, Vladimir Putin, e quello iraniano Hassan Rouhani Domenica 1 Settembre da una delegazione parlamentare iraniana in visita a Damasco che avrebbe informato al-Assad.
L’alternativa sarebbe altrimenti quella che queste armi bandite dalle norme internazionali possano essere distrutte da esperti iraniani e russi in cambio della garanzia che i ribelli non utilizzeranno la situazione per cercare di cambiare l’equilibrio sul terreno degli scontri.
La seconda è che un eventuale bombardamento degli arsenali chimici del Presidente siriano possa costituire un pericoloso precedente in vista del possibile bombardamento dei siti nucleari iraniani.
Non si conoscono le reazioni statunitensi ad un piano del genere, ma gli iraniani pensano, sempre secondo gli esperti di strategia israeliani, che i russi abbiano avviato il colloquio con Teheran e Damasco su questa materia dopo aver informato Washington della possibile proposta da avanzare a al-Assad.
Il Presidente siriano, mentre è costretto a subire le pressioni dei suoi alleati che non vogliono lo scontro con gli Stati Uniti prova a fare la voce grossa sostenendo che è in grado di scatenare una guerra regionale. Il che vuol dire attaccare Israele.
A Washington, intanto, continua il lavorio dell’amministrazione di Obama per assicurarsi i voti al Congresso per il sostegno ad un eventuale intervento militare in Siria.
Altre notizie giungono da Teheran dove si sostiene che già otto mesi fa le autorità iraniane avrebbero passato a Washington informazioni su di un traffico di armi al gas Sarin diretto verso le fila dei ribelli siriani. I media iraniani hanno oggi diffuso le dichiarazioni del generale di brigata Hossein Dehqan, il quale ha affermato che “la minaccia di un attacco militare col pretesto dell’uso di armi chimiche in Siria arriva dopo che gli Usa hanno ignorato gli avvertimenti dell’Iran circa gas Sarin portato in Siria otto mesi fa, praticamente spianando la strada per attacchi chimici in Siria”.
Non dalle truppe del regime di al-Assad, bensì dai ribelli. “I nostri ispettori sono stati ad intervistare vittime e medici negli ospedali da campo”, aveva spiegato la Del Ponte all’emittente tv della Svizzera italiana. In base ai loro resoconti sono sorti sospetti forti e concreti, ma non prove inconfutabili, sull’uso di gas Sarin”. Tuttavia ad “oltrepassare la linea rossa” indicata dal presidente degli Stati Uniti, Barak Obama, concluse la Del Ponte, “sono stati i ribelli, l’opposizione, non le autorità del governo siriano”.
John Balcony