Tanto va la gatta al lardo…recita un antico detto popolare. E stavolta lo “zampino” l’hanno lasciato i senatori delle Commissioni Bilancio e Affari Costituzionali di Palazzo Madama che con un emendamento da “tiro mancino” al Governo avevano annullato il taglio del 25 per cento degli stipendi e dei bonus dei manager pubblici.
Ma di fronte a questo inaspettata modifica al Dl del Fare con uno vergognoso stop dall’evidente sospetto di lobbismo, è cominciato un duro braccio di ferro senatori-governo che si è concluso con l’approvazione del provvedimento poco prima bocciato. Come dire che i “furbetti” del Senato, beccati con le mani nel barattolo della marmellata, stavolta hanno fatto cilecca ritirandosi, ma non proprio tutti, con la coda tra le gambe, costretti pure a far buon viso a cattivo gioco.
Ma cosa avevano bocciato in Commissione? Un taglio del 25 per cento del compenso complessivo a qualunque titolo determinato per tutti i manager che non rientrano nel tetto previsto dal decreto Salva Italia che stabilisce che tale compenso non può essere superiore al trattamento economico del primo presidente della Corte di Cassazione, circa 300.000 euro annui. Che non sono pochi.
Tornando al provvedimento del Governo poi approvato seppur tra un pizzico di suspence, la proposta stabilisce inoltre il divieto per tutte le società a controllo pubblico, a eccezione di quelle emittenti titoli azionari quotati e loro controllate, di corrispondere agli amministratori con deleghe bonus, indennità o benefici economici di fine mandato.
Come sintesi, tutto sommato efficace, possiamo prendere il commento all’emendamento del sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta al via libera delle due Commissioni del Senato: “Abbiamo in parte recuperato il rischio che non ci fosse il contributo da parte del management pubblico. Sarà necessario che l’azionista si faccia garante dell’applicazione delle norme e si definiscano al più presto ulteriori criteri obiettivi e trasparenti sui compensi”.
Enrico Massidda