La politica italiana per qualche ora ha taciuto. Sarà stato forse perché la 53esima vittima italiana in Afghanistan ha fatto pensare che fosse il caso di smettere, almeno per un giorno, di litigare su cose futili? Sarebbe davvero bello se fosse vero. Ci potremmo persino riconciliare con tutti loro, qualunque sia il partito di appartenenza. Hanno parlato solo il Capo dello Stato e le altre cariche istituzionali per ricordare la tragica fine del capitano dei bersaglieri Giuseppe La Rosa.
Lo merita proprio questo siciliano che, a 31 anni, ha perso la vita per un qualcosa di superiore alle piccole beghe nostrane. Qualunque sia il nostro personale giudizio sulla presenza italiana nelle aride e desertiche terre d’Afghanistan e sulle quisquilie della politica nazionale. Il Presidente del Consiglio, Enrico Letta, così, ha potuto parlare a Firenze,con accenni dai toni insoliti per questi ultimi mesi. Ha incontrato anche il Sindaco Matteo Renzi con cui si è scambiato “il cinque”.
Niente risse. Niente scambi di accuse. Alcune idee, magari non condivise da tutti, ma con il pregio della chiarezza e della semplicità. Sul suo Governo: “Non credo ci fossero alternative. L’alternativa era tornare ancora una volta al voto e questo avrebbe creato un caos istituzionale ancora maggiore”.
Letta ha invitato gli italiani a credere nel governo perché “non ci sono sotterfugi” ma solo il tentativo di uscire da una situazione eccezionale, in vista della ripresa del confronto bipolare in una “condizione virtuosa”.
Un discorso piano. Senza grandi voli pindarici. Anche perché gli italiani non hanno più bisogno di grandi voli ma di tornare a terra un po’ più concreti. Possibilmente, sani e salvi!
Un discorso che non ha provocato i cataclismi successivi a quello di una settimana fa, a Trento, sulla riforma costituzionale.
Forse, da pisano, si trovava un po’ in imbarazzo a Firenze. Storica rivale da cui, già prima della sconfitta delle armi, si sentì umiliare dalla infamante invettiva fiorentina del “vituperio delle genti” attraverso la penna di Dante. Oppure, perché, conoscendo la nota propensione dei fiorentini per le ironiche, sarcastiche e colorite allocuzioni, ha preferito tenere un tono da circostanza. Non si sa mai!
I due, poi, si sono ritrovati nel Pd a svolgere funzioni di vertice, sin da subito. Ad entrambi sono sempre state preconizzate grandi cose. Soprattutto dal loro mondo di provenienza il quale, però, non copre tutta la gamma della lunghezza d’onde del Pd.
In qualche modo, occupano la stessa area. Chi davvero salirà più in alto a raccogliere il trofeo dell’albero della cuccagna? Una bella domanda! In gran parte, se non li faranno fuori entrambi, la questione sarà decisa dal “ventre molle” del partito, di fatto in mano agli ex comunisti nonostante la recente e gran confusione creata con la improvvisa “pugnalata alle spalle” sferrata a Bersani.
Un po’ quello che accadde in Gran Bretagna vent’anni fa tra Tony Blair e Gordon Brown. Erano allora i due giovani laburisti più brillanti e riformisti. Allievi del “rosso” di capelli e, in gioventù, di idee, Neil Kinnock.
Si sa come è andata a finire. Blair ha persino battuto la durata della signora Thatcher alla guida del Governo di Sua Maestà. Lasciò il posto a quello che, nel frattempo era diventato, oltre che amico, anche rivale, ma solo alla fine e solo per poco tempo. Quello strettamente necessario a fargli perdere le elezioni.
Giancarlo Infante