Gianni Fontana, ex ministro ed ex dirigente nazionale della Dc, chiusa circa un ventennio fa con un fax da Mino Martinazzoli, è una persona molto tranquilla. Ha proprio l’aria della persona mite. Ma come in tutti i miti, scorgi nei suoi occhi una determinazione forte. Lui è convinto delle cose in cui crede. In primo luogo nella necessità che i democratici cristiani tornino all’impegno politico.
“La Democrazia Cristiana è una sola – sostiene – non è mai morta. Il fatto che non abbiamo partecipato alle elezioni, queste ultime elezioni, non significa che non esistiamo, ma che i tempi organizzativi non erano maturi per affrontare, con la dignità che le deriva dalla sua storia, un confronto politico nazionale. Abbiamo celebrato un Congresso e ristabiliti gli organi dirigenti, così come la Cassazione, a sezione unite ha stabilito il 23 dicembre 2010. Tutti coloro che continuano ad utilizzare il simbolo dello Scudo Crociato ed il termine Democrazia Cristiana lo fanno strumentalmente e sapendo di commettere un abuso. Ciò non ci impedisce di dialogare con loro perché, tutti, dobbiamo andare oltre il nostro piccolo orticello”.
“Non si tratta di ragionare come quando la Democrazia Cristiana faceva o disfaceva i governi e controllava – spiega Fontana – sulla base dell’investitura democratica ricevuta per cinquanta anni di seguito dal popolo italiano, una parte consistente del potere nelle istituzioni a tutti i livelli. La mancanza di un ricambio, di un’alternanza, favorì quei processi di sclerosi che hanno portato a pagare, forse persino più del dovuto, le colpe di un intero sistema politico e di un intero Paese, restii, entrambi, a rinnovarsi come sarebbe stato necessario.”
Allora, cosa successe perché con il periodo di “tangentopoli” franasse tutto?
“Franò tutto non solo per “tangentopoli”. Da cui, lo dico per inciso, la stragrande maggioranza degli amici inquisiti sono usciti totalmente scagionati. Al Congresso del Novembre 2012 ho, in ogni caso, ritenuto opportuno chiedere pubblicamente scusa agli italiani per le nostre responsabilità. Che non erano però solo di ordine morale e comportamentale. A mio avviso, le ragioni vere della decadenza sono rintracciabili nel vivere sempre meno la politica come servizio e sempre più come prevalente esercizio del potere, e nello smarrimento della costruzione del progetto e della prospettiva politica a vantaggio della mera gestione routinaria della cosa pubblica. Con la sconfitta del terrorismo e consolidati i progressi economico-sociali, e con la caduta del Muro di Berlino, venne frettolosamente sancita la nostra vittoria strategica del confronto cinquantennale con il comunismo a favore della scelta verso la libertà, la democrazia, l’economia sociale di mercato, l’Europa, l’Alleanza Atlantica. L’errore, fu quello di non capire che, proprio allora, a fonte di mutamenti così radicali da rivoluzionare equilibri interni e internazionali che avevano condizionato tutto il secondo dopo guerra, dovevamo ricercare il senso di una nuova presenza e rilanciare una più moderna proposta per il Paese.
I suoi toni hanno un po’ le sembianze di una polemica rivincita…
“No! Sono alieno dalla inutile polemica e da sterili rivendicazioni: ho sempre cercato – anche se non sempre ci sono riuscito – di testimoniare la mia vocazione politica relegando la gestione del potere in secondo piano rispetto alla ricerca del bene comune”.
Lei ha sempre parlato di “valore umano” della Politica
“Certamente! Per un democratico cristiano, colui cioè che lega l’agire pubblico a motivazioni religiose ed etiche profondamente vissute, l’impegno politico significa operare “laicamente” nella società e nelle istituzioni a favore del prossimo. Sono certo che la Provvidenza opera come vuole e dove vuole, e non solo nelle personali vicende umane. La politica, infatti, deve aiutare a fare intersecare l’azione della Provvidenza con le questioni sociali ed economiche in cui sono coinvolti, tutti assieme, milioni di esseri umani, un intero Paese. Una lungimirante, consistente e consapevole azione politica diventa di per sé “provvidenziale” per l’intera comunità.
Ma oggi non sono completamente cambiati i punti di riferimento? Anche la Chiesa sembra indirizzata verso altri lidi
Già il famoso “centro” dentro cui vi collocate anche voi
“Non può essere inteso come una entità geografico-spaziale o una citazione di rito. Come, purtroppo, hanno fatto in questi anni molti amici ex Dc i quali, collocandosi tra centro destra e centro sinistra, cioè stando una volta di qua e una volta di là, pensavano di colpo di riuscire a ripetere i vecchi fasti. Il problema vero che abbiamo ancora oggi di fronte è quello di un impegno per la riaggregazione sociale. I partiti sono in crisi perché il loro coinvolgimento istituzionale non ha alcuna relazione con le realtà sociali che dovrebbero rappresentare. E’ un equivoco su cui stanno sopravvivendo a destra Berlusconi e a sinistra il Pd. Non basta occupare gli scranni del centro del Parlamento o giocare un po’ con l’uno e un po’ con l’altro. Con l’attuale sistema elettorale ciò non è più possibile. La crisi di questo sistema elettorale nasce dal fatto che si intende irreggimentare una società antica, complessa e stratificata come quella italiana in due blocchi contrapposti. Il discorso astratto di ricreare il centro trova alle sue basi questa forzatura.
Ma oltre alla lezione sul metodo, a Suo avviso perché oggi potrebbe essere necessario il ritorno della Dc
“Una società non si rilancia se non si avvia un lungo processo di ricomposizione. Questo processo non può prescindere, particolarmente in questo periodo di acuta depressione economica, da alcuni concetti di matrice squisitamente democratico cristiana, che trovano il loro riferimento nella Dottrina sociale della Chiesa. Mi riferisco, per sintetizzare, a tre concetti: la solidarietà, la sussidiarietà e la compartecipazione. In molti casi questi tre modi di concepire l’azione pubblica si ritrovano legati in un intreccio inscindibile tra di loro e finalizzati al bene comune e della persona. Si tratta di porre al centro di ogni iniziativa politica, economica e sociale il rispetto della persona. Di ogni persona. Ma anche della sua proiezione ed arricchimento nei gruppi sociali intermedi, di cui la famiglia costituisce certamente l’elemento di maggior spicco. Senza dimenticare, però, tutto quel reticolo di organizzazioni, di associazioni, gruppi ed entità, sociali, economiche e politiche che hanno consentito all’Italia di diventare, agli inizi degli anni ’90, il quarto Paese più industrializzato al mondo. Quel traguardo, da cui purtroppo siamo stati ricacciati drammaticamente via, fu raggiunto sulla scia di cinquant’anni di lavoro, di collaborazione tra impresa e lavoratori,
Sul piano delle proposte concrete…
“Queste sono proposte concrete! Nel senso che l’azione politica e di Governo deve cambiare. Deve essere impostata per avviare delle grandi, vere ed effettive riforme. Abbiamo avuto negli anni scorsi dei grandi annunci seguiti dal niente. Dei processi di trasformazione di cui l’Italia ha bisogno non si è visto niente. In primo luogo, partendo dalle cose concrete cui mi riferivo prima, da democristiano proporrei di modificare completamente la spesa di questo Paese. Il debito pubblico non si riduce, il sostegno alle imprese ed alle famiglie non si assicura se non gestiamo meglio la nostra ricchezza. Il nostro è ancora un Paese ricco. Non è vero che, di colpo, siamo diventati poveri. Vanno indirizzati verso altre direzioni i nostri impegni ed i pubblici investimenti.”
Ad esempio?
“Ad esempio, qualche giorno fa proprio voi di RomaSettimanale.it avete pubblicato un’intervista con il prof. Stefano Zamagni, in cui si parlava del nuovo welfare sociale verso cui dovremmo tendere quale alternativa al vecchio sistema della spesa pubblica. Zamagni indica la possibilità, anzi la necessità, che in taluni settori sociali, come la sanità, l’educazione, beni culturali ecc, l’ente pubblico,
Assieme al sostegno alla vecchia struttura produttiva e commerciale, è chiaro che è giunto il momento di sostenere nuove realtà le quali meritano non una spesa ma un investimento da parte dello Stato. Questo Stato deve essere ridisegnato. Non per sovvertirne la struttura e le finalità o, magari, per farlo strumentalizzare meglio da questa o quella parte politica. La Dc era stata accusata di avere occupato lo Stato dimenticando come numerose e diverse erano le truppe che formavano questo esercito di occupazione. Truppe, spesso, celate dietro le cortine fumogene provocate anche con accorte campagne mediatiche le quali, purtroppo, a volte si sono rivelate solo strumentali e funzionali a precisi interessi. Perché non c’era solo lo Stato centrale. C’era, e c’è, anche quello delle Regioni e delle amministrazioni locali. Non c’era solo Stato dell’Iri, poi sostituito da quello molto più vorace ed inefficiente delle municipalizzate o delle società partecipate. C’era e c’é anche lo Stato degli sprechi nella sanità. Sprechi che in molti casi si sono rivelati grandi vantaggi per gruppi privati. C’è lo Stato che ha erogato miliardi e miliardi di Euro alle grandi imprese senza che ciò evitasse la deindustrializzazione cui stiamo assistendo. In realtà, dunque, anche per la responsabilità della struttura sociale e della forze sociali, è mancata una politica degna di questo nome. Sono stati solo favoriti i processi di disgregazione comunitaria perché grazie ad una inutile contrapposizione politica, portata sempre alle estreme conseguenze, vincessero in realtà i più forti a danno dei più deboli”.
Tornando ai problemi del partito. Sono in corso anche delle cause. C’è chi protesta perché gli sarebbe stata preclusa la legittima partecipazione al Congresso del Novembre 2012, quello del vostro ritorno sulla scena
“Intanto, anche se non partecipai alle prime fasi organizzative,
Intervista di Enrico Massidda