Partiti: di “bonus” o di programma? – di Roberto Pertile
Di fronte alla fragilità pluri-decennale del sistema produttivo italiano, è lecito domandarsi come sia stato possibile, nell’arco temporale degli anni cinquanta e sessanta, diventare una potenza economica mondiale.
Nel 1987 si ha la seguente classifica: USA, Giappone, Germania, Francia, Italia, GB. Nel 1960 viene ottenuto dalla Lira italiana l’Oscar quale migliore moneta internazionale. Per non parlare del premio Nobel per le ricerche nel campo della chimica industriale; dell’attuazione della riforma agraria che cambiò in profondità l’agricoltura, specialmente nel Sud.
In quegli anni, il Governo adottò un progetto di “economia mista”, destinato a dare vita, nei primi anni cinquanta, alla Cassa per il Mezzogiorno, al Piano Ina-Casa, all’ENI, che fa dell’industria petrolifera italiana un “competitor” internazionale, al rilancio dell’Iri, che opera con successo nell’industria di base, evitata dagli imprenditori privati. L’Italia si dotò di una visione di programma che investì gran parte dei suoi settori più vitali e di base.
Non era stato un caso se Alcide De Gasperi aveva definito il Partito da lui diretto il Partito delle riforme, ( A. Polito -Il Costruttore- ed Mondatori ). Va detto, tuttavia, che già con la prima segreteria Fanfani iniziarono a formarsi nella DC i gruppi di potere ( le famose correnti) per la spartizione del potere.
Nel 1981, Enrico Berlinguer, prendendo atto dei cambiamenti avvenuti nel quadro politico italiano, dichiarava che i partiti erano diventati delle macchine di potere ( La Repubblica del 28/7/81). Infatti, come evidenziato da Giovanni Galloni (“ Dossetti, Moro, Berlinguer”, ed San Paolo ), anche Occhetto ha poi abbandonato il disegno del comunismo democratico per dare spazio alle correnti post-comuniste unite non più dall’ideologia, ma dalla gestione del potere.
È, dunque, la stagione dei “partiti di potere”, di cui Berlusconi, secondo Galloni,(op. cit.), ha rappresentato “l’espressione più esplicita “, a decretare la fine delle riforme. Anche se, all’interno della Dc, già c’era stato il cosiddetto “preambolo” ( Congresso del 1980) destinato a liquidare la stagione della Solidarietà nazionale.
Va preso atto che la vivacità della società italiana degli anni ’50 e ’60 ( il cosiddetto “miracolo economico”), negli ultimi decenni, venne progressivamente ignorata dalla dirigenza politica di allora per dare spazio, come detto, alla gestione degli interessi clientelari soprattutto di breve periodo, utili ai fini elettorali. Ciò che contava, infatti, era un uso della spesa pubblica funzionale alle corporazioni . E per fare questo serviva soprattutto, se non esclusivamente, il potere e la coesistenza dei valori democratici appariva persino un ostacolo da superare. Tutto ciò ha portato ad una progressiva crescita del Debito pubblico che già sta gravando sulle successive generazioni e farà sentire i suoi costi su quelle a venire.
È opportuno sottolineare che, mentre i principi fondamentali della Costituzione sono rimasti un punto fermo di riferimento per l’azione di governo durante il periodo del miracolo economico, questi principi vennero, invece, messi in discussione, in particolare, dal “craxismo”, anche questo sottolineato nella già citata opera di Giovanni Galloni. E con quella esperienza politica che vide Craxi assumere una posizione centrale negli anni ’80, ma in cui si coinvolsero con fasi alterne di rivalità e di collaborazione sia la DC, sia il Partito comunista, l’utilizzazione della spesa pubblica a fini elettorali trovò il battesimo esplicito e più significativo. Venne meno, cioè, la volontà politica di affermare la priorità dei valori strutturali che animano la società, iniziando dai diritti sociali.
Riprendendo Pietro Scoppola, in “La Repubblica dei Partiti “, solo una democrazia di tipo umano e di nuova qualità può promuovere il benessere sociale. Invece, i bonus a pioggia distribuiti largamente nel passato, ed ancora in essere, tolgono risorse ad un intento programmatico di lungo respiro e diventano incompatibili con il fine superiore rappresentato da un benessere sociale equo e, pertanto, diffuso. All’opposto, essi hanno prodotto nei cittadini un diffuso malcontento e un distacco dalle istituzioni, oltre che finire per non soddisfare completamente le componenti sociali cui sono destinati.
Tutto ciò insegna che è arrivato il momento che i partiti, ma rinnovati, si confrontino sui contenuti programmatici, in specie, quelli che affrontano quei “mondi vitali” di cui c’ha sempre parlato Achille Ardigò e che necessitano di una visione capace di guardare all’innovazione tecnologica, sociale e politica e che, quindi, vada ben oltre l’attenzione rivolta esclusivamente ai ricorrenti appuntamenti elettorali.
Roberto Pertile