Passare da partiti di potere a quelli di programma: nuova legge elettorale – di Giancarlo Infante

Passare da partiti di potere a quelli di programma: nuova legge elettorale – di Giancarlo Infante

Il sistema elettorale è stato utilizzato per imporre il bipolarismo in Italia. Un elemento funzionale alla contrapposizione tra Berlusconi e i suoi oppositori. Entrambi convinti che la cosa più importante da acquisire fosse la governabilità a scapito della rappresentanza.

Il metodo elettorale del proporzionale andava stretto un po’ a tutti. A destra e a sinistra. Come a quelli del centro, in particolare agli eredi della DC che non capirono, o fecero finta di non capire, che la loro fine sarebbe stata quella dei “Capponi di Renzo”. Ma quel metodo stava stretto anche a tanti soggetti economici e della grande impresa che nei cinquant’anni precedenti, pur imponendo la loro forza, erano stati comunque costretti a fare i conti con i grandi partiti popolari della Prima Repubblica.

Il nuovo quadro politico italiano, emerso esattamente 30 anni fa, era inoltre funzionale a quegli interessi stranieri che, in qualche modo, erano interessati all’avvio di un processo di privatizzazione che non portava ad un ampliamento del mercato, né a una maggiore tutela dei consumatori, ma a un’autentica “spoliazione” dei gioielli di famiglia del nostro paese. E, così, da un gruppo di “capitani coraggiosi” ad un altro, abbiamo assistito al progressivo declino dell’Alitalia, ovviamente profumatamente pagato dagli italiani.

Quello era anche il periodo del cosiddetto “gigantismo bancario” di cui ha fatto le spese un articolato complesso di Casse di risparmio e di piccole banche locali, ma anche quelle più importanti della Sicilia e dell’intero Meridione. Tutte letteralmente scomparse, privando un’importante segmento della struttura delle piccole e medie imprese di un fondamentale rapporto diretto con il sistema finanziario.

Potremmo continuare con l’elenco dei “disastri” conseguenti al cambio di “regime”. Come quello della nostra industria chimica. Montedison, ma anche il disfacimento dell’impero Ferruzzi di Raul Gardini, cosa furono se non un fallimento dell’intero sistema Paese? Ed è giunto pure lo spezzatino dell’Iri e, poi, delle cartolarizzazione dei beni immobiliari pubblici. E abbiamo dovuto scoprire che sono mancati i tanti sbandierati investimenti dei privati così tanto garantiti in sostituzione di quelli pubblici per fare davvero moderna e all’avanguardia l’amata Italia. Così come siamo finiti con il ritrovarci con un’unica marca automobilistica quando, invece, c’era la possibilità di creare una competizione nella produzione delle auto che non sarebbe probabilmente, poi, sfociata nel deserto imprenditoriale di oggi.

Nonostante la lunga presenza di Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi, non si è avviata una riforma del mondo delle comunicazioni di lungo respiro in grado di mettere il Paese sulla cresta dell’onda dell’evoluzione digitale. Troppo presi dal pensare all’esistente … fatto di tanti interesse di parte. Il fallimento del Piano dell’elettronica Iri – Stet fu una delle tante e definitive conferme.

Doveroso, ovviamente, parlare dei duri colpi portati nel frattempo alla qualità e alla dignità del Lavoro, operazione in qualche modo funzionale al nuovo modo di governare i fenomeni del Paese.

A chi dovesse trovare questa disamina troppo impietosa non può che essere rivolto l’invito a comparare la collocazione dell’Italia degli inizi del ’90 nelle classifiche internazionali, quando, ma solo per fare un esempio, il nostro Paese era diventato il quarto più industrializzato al mondo, scavalcando addirittura il Regno Unito. Uno dei risultati pratici  sul piano imprenditoriale, ha riguardato, e riguarda, il Nord est  costretto, com’è oggi, ad una inevitabile integrazione con la Germania, se non ad una vera e propria dipendenza da questa.

Ecco, molte delle cause di questi negativi fenomeni devono essere fatte risalire alle modifiche portate al nostro sistema politico istituzionale e ad una politica quasi esclusivamente ripiegata su se stessa e sui propri equilibri ed esclusivamente interessata all’auto conservazione.

Un sistema che oggi, oltre ai dati negativi di natura economica, non è riuscito ad assicurare la governabilità ed ha più che mortificato la rappresentanza. Al punto che il Parlamento può essere definito un “buco nero” della decisione pubblica a favore di pochi capo partito che ne “nominano” i componenti. In guisa tale che questi non sono affatto i rappresentanti della intera Nazione, come recita la Costituzione, ma di un sistema di potere ben più forte di ciascuno di loro e di tutti loro messi assieme. Da qui l’inevitabile conseguenza di un Paese “eterodiretto” come dimostrano in questi ultimi mesi il diverso sentire degli italiani su temi importanti come la guerra in Ucraina e quella di Gaza, rispetto a quello dei decisori politici, e come dimostra il continuo e malinconico rifugio nell’astensionismo.

Del resto, cosa ci si deve attendere da partiti che da decenni è decenni rinunciano a misurarsi su progetti di medio e lungo periodo, abbandonati come sono alla sola gestione dell’esistente e condizionati, ed interessati, esclusivamente all’ immediato ritorno elettorale.

Sia ben chiaro. Non è che una diversa legge elettorale risolverà d’amblée tutti i nostri problemi. Ma è certo che abbiamo bisogno di avviare un processo attraverso cui sia possibile restituire la chiave, la voce, e la capacità di decidere, e di governare, a tutti gli italiani.

Il ritorno al proporzionale consentirebbe la riorganizzazione del sistema politico e dei partiti sulla base di autentiche proposte programmatiche e non solo di potere com’è, invece, oggi. La politica non resterebbe imprigionata nelle mani di pochi e le necessarie coalizioni governative nascerebbero sulla base dei programmi delle forze politiche. Costrette a risolvere e superare le loro contraddizioni e incoerenze, vedi quelle che furono ai tempi dei “Dico” di Bertinotti e Prodi. E che sono evidenti anche oggi, al tempo della destra al potere, in materia di Europa e di rapporti con l’Occidente e con la Russia. Cioè su materie dalla cui evoluzione dipenderà in maniera assai rilevante il prossimo futuro, e la necessità per l’Italia di prendere decisioni di grande importanza strategica per invertire la strada imboccata verso un sostanziale declino.

Giancarlo Infante