I rischi in Europa di Giorgia Meloni (e nostri) – di Maurizio Cotta
Il Capo del Governo italiano ha affrontato le elezioni europee con una forte personalizzazione (“vota Giorgia”) e con uno slogan ambizioso “l’Italia cambia l’Europa”. Il risultato elettorale ha confermato la forza del suo seguito nazionale. Ma che cosa è successo quando a Bruxelles si è trattato di trarre le conclusioni politiche del voto europeo complessivo e nominare le cariche principali dell’Unione? Meloni e con lei l’Italia si è trovata ai margini dell’accordo intervenuto tra le principali famiglie politiche europee e in compagnia soltanto dell’Ungheria di Orban. Una compagnia non proprio di grande aiuto per il nostro paese visto che Orban sui principali dossier europei (immigrazione, Ucraina…) ha posizioni opposte a quelle italiane!
Come e perché questo è successo e con quali ricadute per l’Italia? C’è chi, come Salvini, ha parlato di “colpo di stato”, o come Meloni di una “politica dei caminetti” che non terrebbe conto del voto popolare. Ho l’impressione invece che ci sia chi non capisce o finge di non capire come funziona l’Unione Europea. Quello che si è visto è sostanzialmente il funzionamento di un sistema parlamentare in un quadro pluripartitico.
Le elezioni europee hanno determinato una distribuzione delle forze politiche con alcuni cambiamenti (perdite significative per i Verdi e per i Liberali, avanzamento di forze di estrema destra in alcuni paesi e un aumento di parlamentari almeno inizialmente non integrati nelle principali forze politiche), ma anche un notevole grado di continuità nelle due forze maggiori, il Partito Popolare e i Socialisti e Democratici.Non c’è stato uno sfondamento dell’estrema destra come qualcuno ipotizzava/sperava e soprattutto quest’area è internamente assai divisa su importanti questioni.
Come succede in tutti i regimi parlamentari europei, i partiti sulla base delle loro compatibilità politiche e dei numeri necessari per sostenere un governo (nel nostro caso la Commissione) fanno una proposta al capo dello stato (nel nostro caso il Consiglio Europeo). Se su questa proposta c’è il consenso sufficiente si va in Parlamento.
Nel contesto uscito dalle elezioni di giugno l’unica maggioranza in grado di assicurare il sostegno parlamentare alla nuova Commissione è quella tradizionale composta dal PPE, i Socialisti e i Liberali. Questa maggioranza, di per sé, avrebbe potuto non escludere qualche allargamento verso i Verdi (se ricondotti ad un maggiore realismo sulle politiche ambientali) e verso una parte più moderata dei Conservatori.
L’Italia aveva tutto l’interesse a essere parte integrante della coalizione di governo della UE per meglio far sentire le proprie legittime esigenze. Ma questo richiedeva una chiara scelta del Governo e della sua leader. Meloni ha pensato che fosse sufficiente aver corteggiato (ricambiata) Ursula von der Leyen senza però mettere una più chiara distanza fra il suo partito e gli altri parti della destra estrema europea. Ha coltivato invece in maniera più o meno esplicita il retropensiero di una maggioranza europea di centro-destra. Un calcolo sbagliato, sia perché questa maggioranza non aveva possibilità (oltre al fatto che avrebbe avuto effetti disastrosi per l’Unione), sia perché questi rapporti con una destra impresentabile e in rotta di collisione con gli indirizzi prevalenti nell’Unione hanno dato spazio e ragioni alla scelta escludente di Socialisti e Liberali e, alla fine, anche del Partito Popolare.
Certamente ci sarà un commissario italiano nella nuova commissione (ma con quali deleghe?) e l’Italia potrà continuare a far sentire la propria voce nelle istituzioni europee, ma in una posizione certo meno centrale e influente. La scommessa di Meloni, assecondata dai suoi compagni di governo, fa pagare un prezzo al paese che in tanti campi ha bisogno di più Europa e certo non ha bisogno dell’Europa meno solidale, meno dotata di risorse per affrontare le grandi sfide di oggi e domani che vorrebbero le formazioni della destra.
Se alle scelte azzardate del governo Meloni in materia di riforme istituzionali interne sommiamo ora anche scelte pericolose in sede europea le preoccupazioni aumentano seriamente.
Maurizio Cotta