Le regioni “ricche” e lo Stato sempre più debole – di Michele Marino
La caratteristica prevalente in merito alla forma di Stato che a partire dalla Costituzione della Repubblica è stata adottata è quella di una sorta di “regionalismo spinto”: basti pensare alla previsione normativa delle “regioni a statuto speciale e province autonome”. Anomalia tutta italica – dopo un lungo periodo di disapplicazione della Costituzione, essendo state introdotte soltanto nel 1975 – e che ci portiamo dietro, faticosamente e tra tante contraddizioni, da ben 76 anni e sulla quale mi sono lanciato del tutto isolatamente, all’epoca del II Governo Berlusconi, nel corso di una riunione di Gabinetto, affermando che si trattasse (e lo è tuttora!) di una configurazione legislativa superata e quanto meno da riesaminare con severità di approccio e approfonditamente: silenzio “assordante” quasi da vergognarsi … altro che “vox clamans in deserto”!
Questa premessa è utile non solo a comprendere come, essendo la nostra una democrazia ancora giovane, la classe dirigente del Paese restava, dopo tre generazioni a distanza dalla II guerra mondiale, poco decisionista e “futurista” nel senso che mancava una visione di sistema. E tale carenza “politica” come ricerca del bene in chiave paradigmatica della società/ “polis” si riverbera, giorno dopo giorno, inevitabilmente, in una serie di problematiche relative ai rapporti tra lo Stato centrale, dicasi Governo/dicasteri, e le regioni con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti noi.
Ora il primo esecutivo di Destra (centro) sta intentando a dipanare l’intricata matassa anche cercando di dare un senso effettivo al concetto della qualità del “servizio sanitario nazionale”, includendo cioè nella Costituzione il principio pragmatico dei L.E.P., dicasi livelli essenziali delle prestazioni come presupposto necessario e indispensabile per dare corso al dettato della riforma costituzionale in sede attuativa (sempre che verrà confermata dal responso referendario successivo all’approvazione in duplice esame nelle aule parlamentari. Ed ahimé, la più rilevante materia, socialmente, è quella sanitaria che vuol dire articolo 32 Cost. , ovvero il fondamentale diritto alla salute che viene sottoposto ad una serie di dibattiti, esami, approvazioni e pareri dell’elettorato da far tremare le gambe … Oggidì, tanti costituzionalisti, politologi e presidenti di regione, oltre a numerosi sindaci tra cui alcuni esponenti della maggioranza mettono in discussione il fatto che detta competenza di primario interesse non faccia capo allo Stato centrale, anche in considerazione della difformità organizzativa e tecnologica tra gli enti territoriali che determina quasi delle categorie tra cittadini, più o meno garantiti nell’espletamento dei servizi essenziali per la loro salute.
L’accentuazione del potere regionale a scapito di quello statale o meglio ministeriale resta una vecchia chimera della Lega nord, già Padania, che suscita non poche perplessità incominciando dalla seguente considerazione empirica: l’autonomia speciale fu voluta dall’Assemblea costituente con la configurazione delle “regioni a statuto speciale”, la cui gestione nel corso dei decenni passati non ha dato ampia prova di successo o comunque di un tipo di amministrazione decentrata migliore di quella “ordinaria”.
Ne deriva anche una considerazione negativa sull’assunzione di responsabilità che, generalmente – e non da oggi -sembra accomunare in modo particolare a livello regionale la dirigenza politica a quella dell’apparato amministrativo. Laddove, invece, nell’Amministrazione centrale qualcosa di più è stato fatto in merito al principio (leggi Bassanini-Brunetta) – della separazione del potere politico da quello amministrativo. Esso rimane una sorta di palla di piombo al piede della nazione che appesantisce anche la presente riforma.
Forse c’è da ripensare, anche finanziariamente, ai maggiori oneri che deriveranno dalla moltiplicazione dei “centri di spesa” che andranno a decidere sugli appalti, conferimenti di incarichi e convenzioni, fondamentali nella vita sociale e sanitaria, a danno del contenimento del debito pubblico ed a scapito della tutela della salute e della dignità umana!
Quindi, pur riconoscendo il coraggio della Presidente del Consiglio nel decidere di affrontare un iter lungo e travagliato, e premesso che è inequivocabile l’esigenza di confrontarsi tra le distinte parti politiche, senza puntare esclusivamente a soddisfare le aspettative del proprio elettorato, l’Autonomia differenziata dovrà esser condivisa e compresa dalla maggioranza di tutta la popolazione e non solo quella che vota a destra.
Un dubbio obiettivamente sorge spontaneo … detta riforma dell’ordinamento costituzionale rafforzerà le regioni, tutt’altro che meritevoli, ulteriormente e indebolirà lo Stato centrale e con quali risultati rispetto alle già difficili condizioni esistenziali dei cittadini meno abbienti?
Michele Marino