La scienza e la tecnica, l’etica e la persona – di Domenico Galbiati

Fin dalla meta del secolo scorso, Romano Guardini sosteneva come l’ umanità dovesse accettare e sostenere un confronto con la “potenza” per riordinarla eticamente. Ed aggiungeva come “compito e destino” dell’ Europa, suo ruolo essenziale fosse quello di condurre una “critica della potenza” per riportarla entro un orizzonte di senso.
Una politica che intenda ripartire dalla “centralità” della persona, senza cadere in un abusato “refrain” retorico, bensì assumendola come effettivo “baricentro” di un pensiero che sia in grado di “domare” la complessità frastagliata della post-modernità, deve, per forza di cose, affrontare il tornante delle questioni “eticamente sensibili”. E della “potenza”, dunque, che vi si manifesta.
Non si tratta di uno sfizio dei cattolici, ma di argomenti che investono tutti ed a cui nessuno, per quanta fatica costi, può sottrarsi. Le forze politiche hanno addirittura bisogno di affrontarle. Rappresentano il banco di prova dirimente, sul quale chiarire a sé stesse se le istanze e le ragioni della propria identità originaria siano o meno adatte ad inerpicarci sui versanti scoscesi di un momento storico che ci sfida, costringendoci ad affrontare domande radicali che toccano il cuore della nostra auto-comprensione. Si tratta, infatti, di un terreno su cui viene messa in discussione addirittura la questione “ontologica”, cioè la concezione dell’essenza, del “quid est” dell’ uomo e, conseguentemente il “quod”, cioè le antropologie, la coscienza di sé, della vita e della storia che l’umanità va costantemente rielaborando.
La scienza cerca di far proprie e di ricondurre al proprio metodo riduzionista, presumendo di essere l’unica fonte di conoscenza vera, domande che sono state fin qui di esclusiva competenza della riflessione filosofica e della stessa teologia. Senonché si tratta, piuttosto e sicuramente, di costruire un rapporto più stretto e più intrigante tra questi due versanti, ma in nessun modo di ritenere superata la dimensione trascendente del pensiero.
Si potrebbe dire che le stesse forze politiche, se intendono affrontare le trasformazioni che ci incalzano, cercando di governarle, piuttosto che subendole passivamente, devono attraversare, ciascuna a suo modo, un processo che potremmo chiamare di “rifondazione antropologica”. Devono, cioè, ricalibrare la loro conformazione ideale, in funzione di questa curvatura del nostro universo mentale imposta dalla forza di gravità della dimensione etica che si impone. Sapendo, d’altra parte, che questioni di tale natura appartengo necessariamente alla libertà di coscienza ed alla consapevolezza di sé di ognuno, non essendo delegabili a nessun’ altra istanza che non risponda all’interiorità di ciascuno ed alla responsabilità che ognuno deve assumere, consapevolmente, anzitutto nei confronti di sé stesso.
Sono, del resto, argomenti che fanno parte di un più ampio contesto tematico segnato dal crescente divario, destinato a dilatarsi ogni giorno, tra le potenzialità che la scienza ci offre e la nostra capacità di orientarle secondo un ordine etico consapevolmente assunto. Potenzialità scientifiche e tecnologiche – biotecnologiche, in modo particolare – talmente inaudite da creare stupore ed entusiasmo per un verso e, nel contempo, sconcerto ed allarme.
Come abbiamo constatato nei giorni della pandemia.
Si discute di “tecno-scienza” per segnalare come l’ originario rapporto si sia, in larga misura, rovesciato. Non è più la passione in sé del conoscere a svelarci profili passibili di essere ricondotti, attraverso le tecniche che ne derivano, a fini di utilità pratica, ma, al contrario, questi ultimi diventano motivo di selezione degli impegni che la stessa ricerca scientifica di base è chiamata a perseguire.
Domenico Galbiati