Quando soffia vento, c’è chi costruisce ripari e chi mulini a vento – di Guido Puccio

Quando soffia vento, c’è chi costruisce ripari e chi mulini a vento – di Guido Puccio

Un vecchio proverbio inglese recita che quando soffia il vento del cambiamento, c’è chi costruisce ripari e chi costruisce mulini a vento.

Questo vento soffia da almeno un anno, ed ormai è iniziata “l’era della non pace” come titola l’ultimo libro di Marc Leonard, il fondatore dell’European Council  on Foreign Relations.

Non è certo la prima volta che accade nel nostro tempo. E’ avvenuto alla fine degli anni ottanta, con la caduta del muro di Berlino, e nei primi anni duemila con l’ingresso della Cina nella Organizzazione Mondiale del Commercio, dal quale ha avuto inizio la dimensione globale dei traffici.

Oggi è l’Occidente ad essere sotto attacco, con tutto ciò che ha rappresentato nella storia e rappresenta in termini di successo economico, cultura, libertà di parola e di opinione. Le due grandi potenze orientali, Russia e Cina, lo dichiarano apertamente sia pure con diverse posture: l’autocrazia russa con l’odiosa guerra di aggressione in Ucraina; il regime autoritario cinese con la competizione a tutto campo con l’America.

Non solo. I Paesi che colgono l’occasione del confronto per sganciarsi dal predominio economico occidentale sono tanti, dal continente latino- americano a quello asiatico e africano.

La frattura che si delinea sempre più marcata ha già conseguenze sui modelli economici di imprese e governi. Sono stati costruiti nel tempo sulla capacità di produrre ed esportare beni e servizi importando energia a basso costo e materie prime, su filiere del valore lunghe in quanto globali, e sul costo del danaro contenuto. Certo, con i limiti ben noti, dalle disuguaglianze sociali sempre più accentuate alla disaffezione crescente verso le istituzioni, che emerge anche dall’astensionismo elettorale.

Ora la produzione industriale rallenta già a dimensione europea; il costo dell’energia ha rapidamente conosciuto livelli insostenibili ed è sempre aleatorio; le filiere di approvvigionamento e di collocamento dei prodotti si sono accorciate, in taluni casi fino alla dimensione regionale; i tassi di interesse crescono e penalizzano gli investimenti. Per non dire delle problematiche ambientali.

Ne consegue che i modelli economici, i modi di produrre e di consumare che si ritenevano normali da almeno vent’anni, sono forzatamente da rivedere adeguandoli alla nuova realtà.

Voler essere tra coloro che costruiscono ripari invece che mulini a vento, come evoca il proverbio citato, impone innanzitutto di prendere coscienza di questa nuova situazione.

Lo stanno già facendo le migliori imprese, ben oltre il semplice adeguamento dei prezzi ai maggiori costi che ha pur sempre un limite, ma creando nuovi prodotti,

introducendo tecnologie avanzate, coinvolgendo i lavoratori proprio perché il destino è comune, cercando fonti energetiche alternative, conoscendo più a fondo i processi di produzione e gli assetti organizzativi.

Lo dovranno fare i governi selezionando sempre più la spesa corrente per privilegiare gli investimenti nel capitale fisso sociale, nella scuola, nella difesa, nella sanità.

Non è un caso che in Europa tornano di attualità gli interventi dello Stato nel settore economico, sperando che i Paesi dell’Unione procedano insieme. Come torna sul tappeto il patto di stabilità, con la prospettiva di escludere gli investimenti dal calcolo dei disavanzi. Passi avanti sono necessari anche per completare l’unione bancaria, adeguare i sistemi fiscali, potenziare insieme le strutture della difesa che la nuova realtà rende urgenti e necessari.

Costruire ripari quando cambia il vento vuol dire muoversi in Europa e con l’Europa. Agire da soli rischia di vederci affannati intorno ai mulini a vento.

Guido Puccio