Di chi la colpa dei disastri ambientali? Di tanti
Anche ad Ischia stiamo a piangere l’ennesima tragedia ambientale e alle conseguenti vittime. Come in tante altre occasioni, una questione vera, com’è quello del cambiamento climatico, emerge che il problema non è creato dal cielo, bensì da quello che viene combinato a terra. Ed emerge, soprattutto, che c’è una “congiura” che coinvolge classe politica, nazionale e locale, istituzioni e cittadini.
E’ evidente come esistano responsabilità degli amministratori locali. Ma oltre alla necessità di premettere quanto siano spesso lasciati soli, travolti da un insieme di leggi e leggine, di norme che non possono essere applicate perché mancano i fondi e il personale qualificato, non si può dimenticare ciò che grida vendetta al cielo in materia di salvaguardia del territorio e la mancanza di una cultura popolare adeguata. E’ questa mancanza diffusa che ha contribuito ad andare avanti con ripetuti e a far trionfare l’impossibilità, l’incapacità e la non volontà di prendere quei provvedimenti fermi necessari, almeno, a risparmiare tanti esseri umani. In particolare, in quelle aree dove si è totalmente abbandonato il territorio, ma comunque si continua a costruire, o in quelle ad alto valore turistico dove gli amministratori locali sono posti ogni giorno di fronte al dilemma tra il rispetto delle norme, che pure non mancano, e la rielezione.
E’ troppo comodo oggi limitarsi a prendersela con questo o quel sindaco che hanno la sventura di vedere il proprio territorio travolto da una frana. E’ troppo comodo anche per taluni magistrati “svegliarsi” solo quando ci sono solo da contare dei morti, come l’illegalità fosse stata messa in essere cinque minuti prima di un’alluvione. E’ pure troppo comodo per i cittadini che hanno voluto costruire dappertutto, che si trattasse o meno di stravolgere gli argini dei corsi d’acqua, di deturpare colline e montagne con sempre nuove strade, di partecipare alla distruzione delle difese naturali del loro territorio.
Ischia, ma tanto altro c’è stato in precedenza e, ahinoi, si ripeterà nel futuro, sta solo a confermare il perverso circolo chiuso in cui finiscono una pessima classe dirigente e le popolazioni che amministrano pretendono, magari, di farsi la casa dappertutto senza rispetto per quelle leggi naturali che, poi, finiscono inevitabilmente a ristabilire equilibri millenari. Ovviamente al costo di distruzioni e di morti.
Siamo un po’ tutti vittime di un salto culturale, cui non si è voluto porre la dovuta attenzione per tempo. Dalla società contadina che viveva un rapporto dinamico, e di sostanziale rispetto, per l’ambiente si è passati alla logica dello sfruttamento intensivo e della massimizzazione dei vantaggi a dispetto della storia dei territori e ignorando i tanti messaggi che la natura lascia nel corso dei secoli. E sempre con l’idea che la “campana” suoni per qualcun altro.