Cambiare la legge elettorale

Cambiare la legge elettorale

Che tristezza ieri trovarsi di fronte alle schede elettorali su cui apporre la nostra crocetta. Tutti nomi di paracadutati. Inutile cercare il modo di sceglierne almeno uno. Tutti decisi dall’alto e messi in un ordine bloccato. Ancora una volta si è avuto il senso di votare solamente per i vertici dei partiti.

Così, tra qualche giorno, al momento dell’insediamento, avremo un Parlamento composto da chi deve seguire gli ordini di scuderia, piuttosto che rappresentare l’intera Nazione, come ci dice la Costituzione. Ancora una volta, non ci sarà alcun rapporto tra eletti ed elettori e molti territori saranno abbandonati a loro stessi perché non rappresentati.

Lo so che ci stiamo preoccupando di Putin e delle brutte prospettive che ci vengono dalla guerra d’Ucraina ( a proposito, i tanti e gasati presidenzialisti riflettano su cosa significhi l’uomo solo al comando). Lo stesso vale per il vertiginoso aumento dei costi delle fonti d’energia e delle materie prime. Ma si tratta di cose non meno importanti delle nostra democrazia e della nostra partecipazione alla cosa pubblica.

E’ da un pezzo che tutti vediamo le condizioni in cui il Paese è ridotto dalla crisi della politica e delle istituzioni. E’ oramai dalla fine dell’ultimo governo Berlusconi che è stata sancita la fine di un sistema bipolare che, ammesso che l’abbia mai avuta, ha perso quella spinta iniziale avviata con il cosiddetto passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica. Alla crisi contemporanea della rappresentanza e della governabilità si è pensato di dare una risposta privilegiando la prima. Perché, in fondo, non si ama la Politica che è cosa fondata sull’ascolto delle ragioni altrui, della ricerca del massimo d’inclusione e dalla partecipazione.

La risposta è stata, invece, quella dell’arroccamento di una classe politica che, nel suo complesso, ha preferito continuare a privilegiare chi era già parte del “gioco”: quello che Berlusconi definì il “teatrino della politica”, salvo diventarne uno dei migliori interpreti.

Una parte del rinnovamento del paese, che noi preferiamo chiamare “trasformazione”, parola chiave che sta a fondamento del Manifesto Zamagni (CLICCA QUI), non può non partire che dal riguardare tutto l’insieme della vita politica, di quella dei partiti diventati sempre più chiuse roccaforti interessate alla gestione del potere, e dalla gestione delle istituzioni a livello nazionale, regionale e locale. A chi dice che dev’essere cambiata la Costituzione rispondiamo che, invece, essa va rafforzata applicandola pienamente. Ad esempio, per ciò che riguarda l’art. 49 sulla cui base dev’essere regolamentata la vita delle organizzazioni politiche assicurandone il massimo delle trasparenza.

Il passaggio di una nuova legge elettorale, che oggi avrebbe meglio fatto seguito anche alla riduzione del numero dei parlamentari, oltre che prendere atto della fine sostanziale del bipolarismo, appare più che mai inevitabile. E per questo è davvero necessaria un’autentica mobilitazione dei cittadini. Anche indipendentemente dal voto espresso ieri da ciascuno di loro nelle urne e dal proprio pensiero di riferimento.

Non è escluso che possa essere necessario passare per i tribunali e giungere fino alla Corte Internazionale dei diritti dell’uomo per riuscire davvero, e definitivamente, a cancellare leggi elettorali su cui anche la Corte Costituzionale ha espresso forti critiche, ma invano, tanto sono dirette esclusivamente a limitare l’emersione dalla società civile di nuove idee e nuove facce.

Anche i cattolici non possono pensare di continuare a costruirsi gli alibi dietro cui si sono nascosti in questi anni per continuare a predicare bene e a razzolare male. Che esista un problema di fondo che li chiama alla responsabilità non lo si scopre solo nella “Fratelli tutti” (CLICCA QUI) di Papa Francesco, un pontefice di cui, spesso, ci si limita alla citazione del pensiero, ma restando sempre ben lontani dalla sua applicazione che richiede l’allontanamento dalle pratiche del “donabbondismo” e dell’opportunismo. L’alternativa è quella di smettere di lamentarsi, in attesa del riconoscimento della propria rilevanza da parte di altri, che siano Letta, Salvini o la Meloni poco cambia, e impegnarsi a difendere la democrazia sostanziale, perché se quella manca è inutile parlare di solidarietà, di inclusione e di partecipazione.

I tempi sono quelli che sono. Non bastano più i pannicelli caldi e, per adesso, limitiamoci a sperare che il futuro non ce lo confermi in maniera ancora più drammatica.