La rottura di Di Maio. Poteva finire diversamente?

La rottura di Di Maio. Poteva finire diversamente?

Poteva finire diversamente? Una forza politica, per quanto sia così’ immediatamente esposta alla evoluzione quotidiana degli eventi e debba essere in grado di apprenderne le suggestioni, non può mai liberarsi del suo marchio d’origine. Ed il “Movimento 5 Stelle” è pur sempre il partito del “vaffa”. Vale per Di Maio come per Conte.

Il patrimonio di ideali, di valori, di cultura politica, di sagacia strategica è pur sempre da rintracciare nelle sguaiate performance da cui il Movimento è nato. Alla ricerca gratuita di una volgarità triviale che, evidentemente, stava già nelle corde del nascente soggetto politico e soprattutto garantiva di ancorarlo al populismo più bieco.
Ogni sacco, del resto, fornisce la farina che ha.

Qualcuno poteva seriamente immaginare che da una tale radice potesse trarre ispirazione una forza capace di guidare il Paese in uno dei passaggi più delicati della sua vicenda politica? La scissione non è che la dissoluzione “necessaria” – cioè di per sé già inscritta nell’ordine dei fatti – di una cosa che, se guardiamo alla sua effettiva consistenza politica, non c’è mai stata.

Per quanto possa dare cattiva prova di sé, la politica è una cosa seria. Da non confondere con quella melassa vischiosa che i grillini hanno riversato sul nostro sistema politico. Un miscuglio di populismo e di demagogia, intriso di arroganza e del peggior moralismo, condito da un penoso atteggiamento di millantata superiorità morale che rappresentava il filo conduttore delle sbracate manifestazioni di piazza che hanno illuso milioni di italiani.

A fronte dell’Elevato perfino uno come Salvini sembra uno statista. Ed ora speriamo che ci venga almeno risparmiata la stolida narrazione del Di Maio “buono” e del Conte “cattivo”. Sono l’uno e l’altro il prodotto della stessa “pochade”.
Se ne deve convincere anche chi, dopo aver salutato la Lega come “costola della sinistra”, è caduto nella stessa allucinazione in ordine al Movimento di Grillo. Ma, in modo particolare, il PD deve riflettere come non possa dare nessun apporto di carattere “progressista” una forza la cui intelaiatura è di tutt’altro genere. Un partito che nega di esserlo, ma più vecchio arnese di così non può mostrarsi, ultra-leaderista, anzi costruito sul mito di un oracolo, talmente “elevato” da essere sostanzialmente inappellabile perfino nel marasma agonico della sua fantasmatica creatura, non può dare alcun reale apporto alla costruzione di quella linea di progresso che il Paese merita ed esige.