Ucraina: è lotta di resistenza – di Domenico Galbiati

Ucraina: è lotta di resistenza – di Domenico Galbiati

In fondo ha ragione Putin: l’ aggressione “manu militari” all’Ucraina non è affatto una guerra, ma, appunto, una “operazione militare speciale”. La guerra si fa contro un nemico dichiarato e non è  il caso dell’Ucraina. Come, a suo tempo, non fu quelli della Cecenia o della Georgia. Oppure per scongiurare un pericolo incombente. Anche qui l’Ucraina non c’entra. A meno che il pericolo ravvisato, come avvenne per l’Unione Sovietica, nel ‘56 a Budapest e nel ‘68 a Praga, non fosse di carattere militare, ma ben più sottile e pervasivo. Il rischio, cioè, che il gusto della libertà, si diffondesse per contagio come un virus, che ammetta come unico antidoto i cingolati e la violenza.

Non  si fa la guerra ai fantasmi o ai deliri della propria paura. O della propria temuta impotenza, a fronte della bruciante nostalgia del ruolo egemone, scivolato via dalle mani. Paura sostanzialmente immotivata, almeno per quanto concerne minacce della NATO che mai risulta abbia messo piede sul sacro suolo della Russia, né insidiato i suoi confini. A meno che quest’ultima non abbia la pretesa di lamentare come offesa nei suoi confronti il fatto che popoli e nazioni, schiacciati per decenni sotto il tallone del comunismo sovietico, dal Baltico fino alla Romania, abbiano ritenuto di trovare nell’ Alleanza Atlantica un presidio di sicurezza ed un respiro di libertà. Oppure sta scritto da qualche parte che una nuova forma di colonialismo del terzo millennio preveda che vi siano popoli soggetti al fato di dover rinunciare alle loro libere aspirazioni, condannati da un insano destino a fungere da cintura protettiva dell’ imperialismo altrui ?

Poiché nell’ immaginario e nel sentimento di Putin e dei suoi adepti, in patria e fuori, c’è una palese continuità tra Unione Sovietica e Russia, costoro farebbero bene a riflettere su come il crollo dell’URSS – non a caso definito da Putin la più sciagurata vicenda del ‘900 e, par di capire, l’evento che ha più dolorosamente segnato il suo personale vissuto – sia avvenuto per un processo di dissoluzione interna di quel sistema. Finito per soccombere alla sua sostanziale disumanità, alla paranoica pretesa di creare una nuova umanità, per la quale la individuale personalità di ciascuno si dissolvesse nel collettivo “sol dell’avvenire”. Processo catalizzato, se mai, piuttosto che dal mondo occidentale, dagli eventi polacchi che hanno condotto alla nascita di Solidarnosc, con quel che ne è seguito.

E’ stata la Storia – non le mene dell’Occidente o l’ America – quella stessa Storia che la stessa dottrina marxista-leninista ha eletto a giudice supremo della irrecusabile affermazione della dittatura del proletariato a smentire e rimuovere quell’ impianto ideologico.

Bisognerebbe rileggere le pagine che Jacques Maritain scrisse nel 1936, nelle quali, a cavallo tra analisi storica e riflessione filosofica, già intravede e preconizza l’esito fortunatamente infausto della parabola leninista. Del resto, Svezia e Finlandia escono dal loro storico neutralismo non perché Biden abbia loro ordinato di aggiungersi alla canea che abbaia ai confini della Russia, ma perché, almeno la seconda, hanno un vivo ricordo del morso sovietico e non vogliono ricascarci.

Putin è nato, è cresciuto e si è formato nelle pieghe di un sistema in cui molti, per assicurarsi la sopravvivenza, dovevano scegliere tra il silenzio e la menzogna. Non c’è, dunque, da stupirsi che abbia, se così si può dire, il pudore di nascondere ad un popolo vilipeso dalla propaganda di regime, la volgarità disumana della guerra. Il concetto di “operazione militare speciale” è più elastico e più maneggevole, per quanto sia condotta nel segno di una brutalità bellica che non esclude neppure, secondo il classico copione di una storia criminale, torture e deportazioni di civili.

L’ “operazione speciale” si presta a diverse letture ed offre un ventaglio di opportunità interpretative. Può essere un tentativo, fin qui frustrato, di asportazione chirurgica di un gruppo dirigente liberamente eletto dal popolo ucraino per sostituirlo con un regime di comodo. Non a caso, nei primi giorni di guerra, bande di ceceni cercavano di introdursi in Kiev per eliminare Zelenskj. Oppure può rappresentare un’ azione dimostrativa o un monito ad altri Paesi dell’ area o una manifestazione muscolare della propria forza o anche il modo per saggiare il polso dell’ Occidente e capire che effetto fa sul piano delle relazioni internazionali e fin dove eventualmente ci si possa ancora spingere. O ancora, un procurato allarme diretto a dirottare altrove l’ attenzione del popolo, fors’anche per rinsaldare un fronte interno, scosso da difficoltà che non conosciamo. Fors’anche, secondo una pluralità di versanti che non si escludono a vicenda, l’occasione per saggiare la propria potenza di fuoco, misurare la tenuta del proprio apparato militare, rinnovare il proprio arsenale. Dobbiamo pur sempre chiederci – argomento troppo trascurato – quale sia l’ effettivo rapporto tra Russia e Cina.

Ad ogni modo, se non è guerra per la Russia, per l’Ucraina è lotta di resistenza che si sottrae al dilemma se la guerra possa o meno essere “giusta”. La lotta di liberazione lo è per definizione e i paesi liberi devono sostenere la resistenza ucraina non perché siano o meno “atlantisti”, ma per rispetto di sé stessi e come doveroso pegno della loro stessa libertà. Resterebbe da approfondire quale sia la vera, sostanziale differenza, al di là del piano militare, tra aggressore ed aggredito. Ed anche se, atteso che la guerra in nessun modo possa essere “giusta”, al contrario, tale attributo non sia essenziale per la Pace, se effettivamente tale debba essere e non piuttosto un precario compromesso.

Domenico Galbiati