Può esserci una Pace senza vittoria?

Può esserci una Pace senza vittoria?

Un presidente americano, anche lui un  democratico come Biden, più o meno un secolo fa, aveva formulato, di fronte ad una rottura dell’ordine internazionale innescata da una guerra generale, scatenata dalla invasione di un piccolo Stato- la Serbia- da parte di un grande impero europeo- l’ Impero austro-ungarico- , una visione della guerra e della pace che oggi potrebbe essere singolarmente attuale. Era la “grande guerra” 1914-18 ed il presidente era Thomas Woodrow Wilson, il presidente che, per la prima volta nella storia, impegnò gli USA in una guerra “europea”.  Non certo un presidente “pacifista” dunque e neppure “isolazionista”. Eppure  Wilson ebbe il coraggio di affermare: “Ci dovrebbe essere una pace senza vittoria … Solo una pace fra uguali alla fine può durare”

La partecipazione attiva alla guerra non  impedì a Wilson  di cercare una pace senza vittoria. Oggi forse francamente questa affermazione ci sembra poco praticabile per la guerra in Ucraina. L’ Ucraina dovrebbe rinunciare alla vittoria su Putin?

Se guardiamo con attenzione troviamo analogie interessanti tra la situazione della  guerra di Ucraina e il conflitto di cui si occupava Wilson. La guerra d’ Ucraina, mentre è segnata da massacri e uccisioni di civili sempre più insensate ( l’ “inutile strage” con cui si configurano queste guerre totali “ a pezzetti”) e mentre mette in discussione il sistema complessivo delle relazioni internazionali, aprendo persino inquietanti scenari di una crisi alimentare e umanitaria mondiale ( e perché non anche finanziaria?), sembra non lasciare spazio ai più piccoli spiragli di tregua, mentre la rappresentazione di un Davide che colpisce Golia pare ridimensionarsi a rappresentazione mitologica di quella che è pur sempre una legittima guerra di difesa, in cui però il moderno “Davide” non può contentarsi del suo coraggio e di una semplice fionda, ma ha invece un disperato e continuo di bisogno di armi che sembrano non  bastare mai.  Il duello durerà. Ed a lungo.

L’ Europa che, d’altronde, fiancheggia lo sforzo difensivo dell’ Ucraina, mostra difficoltà crescenti nel condurre la “guerra delle sanzioni”. Che le armi della finanza  ( la “guerra” delle sanzioni)  siano più efficaci di quelle degli eserciti è un calcolo molto rischioso, perché, trattandosi di un meccanismo che chiede tempo- l’unica certezza è che le sanzioni devono durare a lungo e si “prevede” una guerra di usura a lungo termine ! -, difficilmente si possono  calcolare in anticipo tutti gli effetti-boomerang dissimmetrici ( e quindi de-solidarizzanti) delle sanzioni  all’interno del fronte di Stati che le promuove. La “guerra lampo” di Putin si è mutata in una guerra di logoramento, ibrida, finanziaria economica e militare, che ormai difficilmente può finire con una vittoria sul campo- come pensano tante anime belle a digiuno di storia- e che probabilmente finirà invece solo grazie al  logoramento economico e sociale, prima che militare, di una delle parti in campo, ovviamente parti non solo intese come Ucraina e Federazione russa, ma come raggruppamenti di stati coinvolti nella ibrida guerra. Non molto diversamente da come finì la grande guerra nel 1918, cui il conflitto in corso  sta, per più aspetti,  terribilmente somigliando, al di là delle analogie tanto evidenti quanto superficiali e di uso mediatico con la seconda guerra mondiale ( del tipo Putin dittatore come Hitler) per ora prevalenti. La guerra di movimento, il Blitz-krieg progettata da Putin  sta divenendo guerra di logoramento.  La seconda guerra mondiale sta somigliando sempre più alla prima guerra mondiale. Qua e là le televisioni hanno mostrato anche la presenza di trincee, che credevamo un relitto di un lontano passato. La guerra di logoramento pone problemi molto diversi da quella di movimento, e li pone a tutte le parti in azione, anche ai non belligeranti. La “guerra delle sanzioni” è parte integrante di questo.

In Italia si delinea già, in conseguenza dei costi inevitabili di questa guerra delle sanzioni, la necessità di tagliare di nuovo il debito pubblico, in una fase in cui il PIL cala, i salari e gli stipendi- in declino da un trentennio- non hanno margini concreti di miglioramento, se non con tagli di tasse che, a loro volta, creerebbero problemi aggiuntivi ai servizi pubblici, già disastrati dalla pandemia e da uno sconvolgimento dell’economia mondiale, che secondo  alcune banche, si profila all’orizzonte. Quali riflessi avrà tutto questo sul sistema politico e rappresentativo?

Quella delle “sanzioni” , forse non è chiaro a tutti, non è una “azione diplomatica” per la pace, è una misura di guerra economica- le “sanzioni” costano esattamente come costano i cannoni e i carri armati- , che come tutte le guerre però, è difficile condurre con risorse fiscali ordinarie, ma si può fare solo coi “crediti di guerra” cioè con nuove mutualizzazioni del debito comune, da aggiungere a quelle del PNRR. Si profila la necessità di un nuovo Recovery di ispirazione bellica. Sarà accettato dai partner UE più “frugali” e quindi sarà davvero finanziato dall’ UE? E se non sarà accettato, come si potranno fare accettare ai cittadini comuni sempre più tartassati nuove spese cui è sempre più arduo sottrarsi?

E’ qui che la guerra incrocia il problema della democrazia, non solo dell’ Ucraina,ma di tutti i paesi che sono coinvolti nello sforzo e soprattutto dei più deboli.  Le decisioni politiche infatti devono essere sempre più verticalizzate. Guerra ed emergenza richiedono una verticalizzazione del potere, cui ci ha già preparato la gestione dell’epidemia di Covid-19, contribuendo in Italia soprattutto a svuotare la democrazia costituzionale. Qui si pone drammaticamente il rapporto tra democrazia e pace:  la democrazia è necessaria per mantenere la pace, ma anche la pace, ed un ordinato sistema di relazioni internazionali,  sono  necessarie per tenere in vita le democrazie.

La “grande guerra” cento anni fa non fu una guerra ideologica. Fu una guerra di logoramento delle economie, delle società  e delle democrazie liberali, laddove esse esistevano e l’incubatore di nuovi regimi, apparentemente popolari, in realtà poi totalitari, laddove invece la democrazia andava costruita. Non è un caso che la scintilla ancora una volta sia venuta dalla Russia, cioè da un’area in cui questo tragico retaggio evidentemente non è stato ancora superato nella coscienza diffusa.   E’ in un contesto per alcuni aspetti più simile a questo della “grande guerra”- per la capacità della guerra di mutare mostruosamente regimi e democrazie- che un secolo fa un presidente come Wilson poteva realisticamente e ragionevolmente auspicare di arrivare ad una pace senza vincitori. La grande guerra andava distruggendo o corrodendo le democrazie nell’ Europa occidentale, mentre nell’area orientale, quella che aveva conosciuto l’autocrazia zarista, stava per generare dagli abissi profondissimi di un sommovimento in parte operaio ma in gran parte plebeo, nuove e inaudite forme di potere pseudo-democratico, non solo dittatoriali, ma totalitarie. Questo pericolo andava posto sulla bilancia delle valutazioni storiche. Ma nessuno, o pochissimi, a parte Wilson lo fecero. Prevalse invece la volontà di arrivare alla  vittoria per tradurne poi gli effetti in veri Trattati- Diktat, come quello imposto alla Germania .

Oggi sentiamo dire  – ed è una sorta di  pink power che ce lo dice! La presidente dell’ Europarlamento, Roberta Metsola, la Commissaria Europea Von der Leyen e la speaker del Congresso USA Nancy Pelosi- che l’ Ucraina va sostenuta fino alla vittoria ( Massimo Brundisini, Orazi e Curiazi, Politica Insieme 28 maggio 2022). Ma su quale valutazione prognostica  seria si può fondare questa affermazione? Ci si rende conto che cosa può significare oggi “vincere” una guerra, cioè debellare completamente una delle  parti in conflitto, specialmente quella più potente e dotata di armi nucleari?  O si ritiene che ad una pace giusta si possa arrivare solo dopo che la forza bruta ha ristabilito il diritto e i giusti confini di Stato ? Come se la guerra tornasse ad essere un infallibile “giudizio di Dio”, in piena barbarie!  Questa fiducia assoluta nella forza bruta, da chiunque sostenuta, è una scommessa pericolosa e immorale. Chi difende la propria indipendenza e i propri diritti non ha bisogno di lottare per alcuna “vittoria”, non ha bisogno di annientare o debellare il suo oppressore, ha bisogno solo di garanzie di libertà e sicurezza per i suoi cittadini.

Ma, potremmo aggiungere,  se davvero non ci fosse un vincitore, perché le armi vengono messe a tacere prima della distruzione del nemico o dell’indebolimento finale del suo regimen, se  non ci fosse una “vittoria finale” né per gli uni né per gli altri- se cioè ci limitiamo a dire “Putin non deve vincere la guerra”- sarebbe ancora possibile una pace giusta? Non sarebbero sprecati i sacrifici compiuti?  In realtà una pace senza vittoria può essere la condizione essenziale di una pace giusta. Anzi essa ne è la condizione essenziale anche oggi. Ed un secolo fa  Wilson portò l’ America in guerra, non per sconfiggere o per punire la Germania e gli Imperi centrali, le potenze “reazionarie” o “conservatrici”, ostili al “progresso” e alla “democrazia”-  ma per assicurare la “libertà dei mari” e per ricostruire l’ordine internazionale su nuove basi.

Il primo conflitto mondiale non si concluse purtroppo come Wilson auspicava. Ci fu infatti una vittoria e ci fu una nazione sconfitta e  ritenuta unica “responsabile” del disastro, anche se non piegata sul campo di battaglia. Ma la vittoria non fu militare- se non in qualche caso particolare-, la vittoria fu il risultato del logoramento delle società e delle democrazie della parte soccombente. La Germania nel 1918 dovette porre termine alla guerra, ma non fu sconfitta sul campo, né un palmo del suo territorio fu invaso dal nemico. Contro la Russia in preda ai disordini interni la Germania aveva anzi vinto una guerra, non perso una guerra, allargandosi ad est, come le fu riconosciuto il 3 marzo 1918 dal trattato di  Brest Litovsk imposto alla Russia rivoluzionaria di Lenin. Se poi, nell’autunno del 1918, la Germania dovette arrendersi ai suoi “nemici” occidentali e meridionali, ciò non fu dovuto tanto al fatto che le truppe tedesche alla fine non riuscirono a sfondare nella loro offensiva finale contro la Francia dell’agosto 1918, ad Amiens,  ma fu il risultato della disgregazione interna  dell’ Impero tedesco, crollato  il 9 novembre, per dar luogo ad una repubblica e devastato dagli ammutinamenti dei militari e dai consigli operai rivoluzionari che nascevano come funghi per “fare come in Russia”. Questa fu la vera  “sconfitta” della Germania. E fu il “carburante” che incendiò poi il suo nazionalismo e produsse il mostro nazista.

La storia non si fa con i “se”, è vero. Ma non si fa neppure considerando come inevitabile ogni catena di eventi. La grande guerra avrebbe potuto benissimo esser conclusa prima di quel 1918. E cosa sarebbe successo di tanto negativo per la “pace giusta” se il primo conflitto mondiale si fosse arrestato il 1 agosto 1917 seguendo l’ invito di Papa Benedetto XV che chiedeva di fermare l’inutile strage ? Una pace giusta senza annessioni e senza conquiste avrebbe impedito all’ Italia di raggiungere il confine “naturale” delle Alpi in Trentino e in Friuli, o magari in Alto Adige? Ma soprattutto, cosa avrebbe comportato nella Russia in sfacelo, in cui il 3 luglio 1917 era fallito un tentativo insurrezionale guidato dai bolscevichi ? I bolscevichi avrebbero davvero potuto realizzare  nell’ ottobre 1917 i dieci giorni che “cambiarono il mondo”? O il mondo sarebbe cambiato, certo, ma per vie probabilmente diverse? Avremmo avuto infine la pandemia di spagnola causata dalla guerra?

E soprattutto il condono reciproco dei debiti di guerra- prospettato da Benedetto XV- avrebbe ancora consentito ai nazionalsocialisti di far leva sul nazionalismo frustrato dall’impossibilità di ripagare le riparazioni tedesche al fine di conquistare il potere per via legale? Avrebbe consentito dunque a Hitler di essere poco di più del capo di un disperato e marginale gruppuscolo di estremisti di Destra? Questi dunque i “problemi” che poteva creare una pace senza una vittoria finale dei “democratici” che si battevano contro gli Imperi centrali.

La guerra di Putin è certo  una guerra diversa, le condizioni oggi sono diverse. Ma possiamo sostenere che la Russia non può essere piegata senza una vera debellatio, dato che si tratta di guerra ideologica di cui Putin- forse persino malato e non padrone di sé- è al tempo stesso protagonista e prigioniero, di una guerra che non può avere limiti o accettare compromessi? Possiamo davvero sostenere che Putin abbia passato il Rubicone ( Domenico Galbiati, Il Rubicone di Putin, Politica Insieme, 31 maggio) e che siamo di fatto entrati nella terza guerra mondiale? E’ una lettura possibile, ma credo che gli argomenti per dimostrarlo ( non basta asserirlo) non siano sufficienti.

La guerra metafisica contro l’occidente cui spesso ci si riferisce è una cosa diversa da quelli che sembrano i cinici calcoli di potenza di Putin. In ogni modo è dovere di governi responsabili, di fronte anche al rischio nucleare, spostare i termini del conflitto dalla dimensione assoluta  ed astratta del conflitto ideologico ad un problema concreto di ordine e disordine internazionale. Al problema da cui è nata la guerra e che è servito per giustificare la guerra d’aggressione. Un problema che va risolto con la forza del diritto e con quella della  comunità internazionale per cui la pace non può non essere  interesse essenziale e vitale.

Il mondo di domani sarà pacifico se sarà democratico.  Non c ‘è bisogno di dimostrarlo, di fronte all’invasione putiniana. Ma ora forse anche un’altra cosa è chiara. Esso potrà esser democratico, o continuare ad esser democratico, solo se l’ordine europeo e mondiale sarà fondato su una pace vera e duratura, senza punizione dei popoli ( ovvio altro discorso vale per i crimini di guerra accertati), su una pace fondata sull’eguale diritto dei popoli, se sarà fondato su una PACE SENZA VITTORIA. E’ questo il realismo più ragionevole. Cercare oggi, per tutte le strade possibili, una PACE SENZA VITTORIA è necessario per  impedire il logoramento delle democrazie, che potrebbe essere il nuovo terribile effetto collaterale non voluto e non previsto, che potrebbe nascere da  una combinazione di due guerre assolute, combattute l’una a difesa l’altra ad offesa della libertà dei popoli. Giusta l’una, ingiusta l’altra, ma insieme deleterie per il mondo civile.

Umberto Baldocchi