L’Ucraina: la mancanza della Politica e l’Europa – di Giancarlo Infante

L’Ucraina: la mancanza della Politica e l’Europa – di Giancarlo Infante

Subito dopo essere giunto in Polonia, a seguito dell’incontro che lui e il Segretario di Stato americano, Antony Blinken, hanno avuto a Kiev con il premier ucraino, Zelensky, il Segretario alla Difesa Usa, Lloyd James Austin III, ha detto papale papale che l’obiettivo degli Stati Uniti è quello d’indebolire le capacità militari di Vladimir Putin. In modo che ci pensi bene nel futuro a ripetere gesti come quello dell’avvio dell’invasione in Ucraina.

Una dichiarazione tanto franca ed inusuale che potrebbe aver fatto storcere la bocca a tanti diplomatici, pure a molti di quelli statunitensi, e che porta a dubitare delle probabilità che la guerra in Ucraina finisca presto e fa porre la domanda, persino, sul se, sul quando e su come finirà.

La reazione della Russia è giunta con la minacciosa dichiarazione del Ministri degli esteri della Russia: ” La Nato fa la guerra per procura alla Russia”. Aumentano i rischi di uno sbocco nucleare, ha detto Sergej Lavrov, anche se Mosca è impegnata ad evitare un conflitto atomico.

Secondo fonti ucraine, la Russia avrebbe finora perso 21.800 soldati, 191 droni, 147 lanciarazzi multipli MLRS, 69 sistemi di difesa aerea, 408 pezzi di artiglieria, 873 carri armati, 154 elicotteri, 179 aerei, 2.238 veicoli corazzati, otto navi, 76 camion di carburante e 1.557 altri veicoli. I vertici militari russi sarebbero stati costretti a dare fondo a tutti i loro vecchi arsenali, costituiti persino nel 1970. Una situazione troppo ghiotta per qualcuno che pensi di provare a dare a Putin una lezione proprio sul terreno dello scontro militare scelto da lui. Ma che forse soffre di una pericolosa tendenza a dimenticare che la Russia dispone di un formidabile armamentario nucleare e missilistico.

L’America non si limita ad assicurare all’Ucraina il minimo delle armi da difesa necessarie a reagire a un’invasione che viola il diritto internazionale. Potremmo interpretare le parole di Austin III come rivelatrici dell’intenzione di andare oltre facendo diventare il sostegno d’emergenza americano agli ucraini un dato strategico di lunga portata. Dopo questo primo incontro con Zelensky, altri dirigenti statunitensi si recheranno a Kiev per dare continuità a rapporti finalizzati soprattutto a rendere efficaci e tempestivi gli aiuti necessari agli ucraini per consentire loro di provare a raggiungere, persino, una vittoria militare. La possono ottenere già costringendo Putin alla difensiva sulle posizioni finora conquistate e, come ha detto Zelensky nel corso del suo incontro con la stampa internazionale, rinviare ad un successivo momento la riconquista di tutta l’Ucraina. Questa situazione può spiegare quanto appaia dunque del tutto scontata la domanda d’obbligo in questi frangenti: è arrivata direttamente l’America nel conflitto russo ucraino?

L’incontro di americani così tanto rappresentativi con Zelensky è già stato seguito dall’annuncio della decisione dell’Amministrazione Biden di aggiungere altri 750 milioni di dollari in aiuti militari. Questi porteranno l’impegno finanziario a favore di Kiev ad oltre tre miliardi di dollari. Una parte di questo ultimo stanziamento sarà destinato anche a coprire le spese sostenute da altri alleati europei impegnati a favore di Zelensky.

Washington, insomma, è più che mai “magna pars” nel conflitto. Sorda alle proteste di Mosca che, anche alla luce dei danni che si è vista infliggere sui campi di battaglia, deve constatare come la guerra da essa stessa provocata potrebbe davvero essere destinata a durare a lungo. E che, visto il sostegno americano agli ucraini, così massiccio e così determinato, sembra più che mai costretta a mettere nel conto che forse, nella più ampia prospettiva, lo scontro potrebbe sfociare persino in esiti incerti rispetto a quelli preconizzati.

Mosca sa bene cosa tutto questo potrebbe significare alla lunga, giacché lo scontro darà deciso, sì, da un intreccio di fatti d’arme, ma anche da questioni di tenuta economica e finanziaria. E’ probabile che Vladimir Putin si convincerà sempre più dei sospetti covati sull’intenzione occidentale di minare la Russia dall’interno, come del resto ha dichiarato senza mezzi termini ieri stesso in televisione, e farli diventare la principale giustificazione del proseguimento e inasprimento della guerra.

Potremmo essere smentiti, quindi, per l’attesa che tutti riponiamo nella data del prossimo 9 maggio da quando si è diffusa la convinzione che quel giorno Putin, appagato da successi veri o presunti raggiunti nelle per ora gelate e fangose pianure dell’Ucraina, e magari dall’essere in grado di svolgere nella martoriata Mariupol la sua marcia trionfale, deciderà demblée di cessare le ostilità.

Dobbiamo, dunque, riconoscere che quella del negoziato resta ancora solo un’auspicata ipotesi.

La parola è ancora troppo vigorosamente in mano a chi imbraccia le armi, così come a chi si occupa dei loro approvvigionamenti. The New York Times parla degli “appaltatori della difesa americana” (CLICCA QUI). Sono impegnati a setacciare le fabbriche di munizioni dell’Europa orientale per consegnare a Kiev gli arsenali da utilizzare in aggiunta a quelli fino ad oggi assicurati grazie alle scorte del Pentagono. Gli ucraini, infatti, hanno bisogno, e li chiedono insistentemente ad americani e agli europei, di strumenti di difesa più avanzati tecnologicamente. Ma intanto necessitano di pezzi di ricambio e di munizionamenti da utilizzare con le loro armi e i loro apparati che risalgono all’era sovietica.

Secondo il giornale newyorkese, dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001, il Pentagono ha acquistato grandi quantità di tali armi per rifornire gli eserciti o gruppi di combattenti alleati in Afghanistan, Iraq, Siria ed altri paesi che fanno ancora affidamento su armi di progettazione sovietica. Viene indicata, tra le altre, la società Ultra Defense Corp. di Tampa, in Florida, che ha rapporti con stabilimenti situati in Romania, Bosnia, Serbia, Slovacchia, Repubblica Ceca e Bulgaria dove viene prodotto il 90% delle munizioni “non standard”, termine utilizzato per indicare la differenza con quelle statunitensi e Nato. In tutto questo contesto le voci dei possibili “pacificatori” restano forzatamente flebili.

E’ evidente come quello che sta maturando richiama l’Europa a grandi responsabilità per la latitanza del passato e a un impegno per l’oggi e per il domani. Ferma restando a difesa del diritto internazionale e di quello dell’Ucraina a decidere liberamente sul proprio futuro, l’Unione Europea sa che oggi, più che mai, “si parrà la sua nobilitate” e che ha il dovere, quindi, d’impegnarsi più di quanto non abbia fatto finora per creare le condizioni affinché la politica riprenda il sopravvento.

Parliamo tanto di questi tempi di “difesa” europea. Ma la difesa è parte determinante di una Politica da “P” maiuscola. Cosa da inventare proprio nel momento in cui la guerra è un dato di fatto sul suolo dell’Europa. Se non ora quando?

Giancarlo Infante