Mario Draghi: il protagonismo della “normalità”- di Giancarlo Infante

Mario Draghi: il protagonismo della “normalità”- di Giancarlo Infante

Dopo la tradizionale conferenza stampa pre  natalizia del Presidente del Consiglio, grande è l’impegno  nell’esegesi delle dichiarazioni di Mario Draghi. Con una ricerca d’obbligo: quella che riguarda la sua eventuale candidatura al Quirinale. Inevitabile che ciò si compia. Ma forse anche fatica inutile, tanti saranno gli elementi che porteranno alla soluzione di un’equazione così complessa com’è quella della scelta del nuovo inquilino del Quirinale.

E’ certo che mai nella nostra storia repubblicana abbiamo assistito ad una vigilia di questo genere. A conferma di quanto si è perso nella qualità della politica italiana, nel senso del rispetto di un ruolo tanto importante e di quello verso le e i candidati che vi potrebbero essere chiamate o chiamati. La personalizzazione della cosa pubblica sta facendo diventare quell’appuntamento quasi un gioco di società tutto sviluppato attorno ad un tavolo cui sono seduti pochissimi convitati. I quali, forse, danno per scontate cose che scontate non sono affatto. Anche alla luce delle condizioni dell’attuale Parlamento i cui componenti vivono molto intensa una sensazione di precarietà. Vuoi per la grande polverizzazione dei gruppi parlamentari, vuoi per la riduzione del numero di deputati e senatori che s’insedieranno con le prossime elezioni nelle due Camere. Si sentono quasi tutti come ” le foglie sugli alberi in autunno”. L’inverno lo vivranno pure peggio.

La conferenza stampa di ieri di Mario Draghi, uscendo dalle amenità ed andando alla sostanza, si è rivelata un ulteriore banco di prova per tutti i partiti. In primo luogo, perché costretti a misurarsi con uno sforzo di unità nazionale giocato non tanto sulla mozione degli affetti, ma sulle qualità richieste a chi si assume la responsabilità di divenire uno dei primi “servitori” dello Stato e degli italiani.

Maggioranza ed opposizione sanno dunque bene quali sono le cose su cui dovrebbero misurarsi. Non tanto con l’idea di mettere “uno dei miei” e, magari, sulla base del convincimento che si debba andare a una prova di forza; o premiare qualche vecchio, imbolsito esponente già logorato dalle troppe battaglie condotte per decenni; o utilizzare l’espediente di affidarsi al “genere” perché così si proverebbe a salvare capra e cavoli senza porsi il problema di fondo che riguarda il nostro assetto politico e istituzionale: tornare alla normalità propria di una democrazia adulta ed inclusiva.

Il problema non è se Mario Draghi debba salire al Quirinale o restare a Palazzo Chigi. Questo dipenderà da tanti fattori e, in ogni caso, dalla lealtà con cui i partiti vorranno, qualunque sia la scelta del prossimo gennaio, rendersi conto che la logica richiede, prima, un accordo su alcuni punti fondamentali sulla cui base, poi, decidere chi fa che cosa.

I punti in questione sono facilmente indicabili: primo, l’Italia non si può permettersi d’interrompere la legislatura adesso nel pieno di una recrudescente pandemia e in pieno avvio del Pnrr. Secondo, è necessaria una rigenerazione del sistema politico che si potrà raggiungere solamente con l’introduzione di un diverso sistema elettorale, su base proporzionale, propedeutico ad una riforma dei partititi.

Del resto, il governo Draghi venne imposto dalla dissoluzione del quadro politico nato con le elezioni del marzo 2018 e dalla crisi profonda in cui si sono ritrovati tutti i partiti. Avvenne che Sergio Mattarella, preoccupato per l’infierire della pandemia, e per la vaghezza con cui il nostro Paese si accingeva ad occuparsi del Pnrr, tirò fuori dal cilindro una soluzione cui è stato dato, ed alcuni ancora vivono questa suggestione, un che di miracoloso.

Eppure, Mario Draghi si presenta come un uomo “normale”. Un nonno si è definito. Che intende solamente mettersi a disposizione delle istituzioni. Non è stato un caso se il Presidente del consiglio ha richiamato la figura di Sergio Mattarella. Altro raro esempio di sano protagonismo da persona “normale” che ovunque si presenta continua ad essere platealmente invitato a restare. Protagonista nel senso dei contenuti di cui si preoccupa nell’adempimento dei doveri cui è stato chiamato e non  solamente della propria persona considerata punto di partenza e d’arrivo di un intero processo politico.

Credo che le qualità di Mario Draghi non debbano essere cercate nella “tecnica” della politica. Cioè quel sapere dire e non dire, ammiccare, lanciare messaggi ora minacciosi o ricattatori, ora mielosi e suadenti. Semmai, le qualità sono da rintracciare nei contenuti e nello stile. Parecchio diverse rispetto a quelle che ci offrono ogni giorno i capi partiti di oggi: la “normalità”, il giudizio misurato, la conoscenza dei problemi, l’ascolto. Queste dovrebbero essere le qualità ricercate da chi si appresta a partecipare alle “danze” per il Quirinale.

Noi l’abbiamo scritto più volte: non crediamo agli “uomini della Provvidenza”. Domenico Galbiati ha ricordato in un paio di occasioni una frase di Mino Martinazzoli: non esistono liberatori, ma solo uomini che si liberano ( CLICCA QUI ).

Vuol dire questo ragionamento che il Governo Draghi sia il più perfetto in assoluto? No, certamente. Più volte abbiamo ricordato la confusione che l’apparato pubblico ha mostrato, e dimostra, in materia di pandemia. Più volte abbiamo detto che il tanto fondamentale Pnrr resta ancora in gran parte un oggetto sconosciuto. Più volte abbiamo sottolineato i ritardi e la mancanza di coraggio nel impostare più incisivi sostegni alla famiglia e ai ceti sociali più deboli.

E’ certo però che la “normalità” di Mario Draghi suona come pietra di contraddizione per il quadro politico italiano e si tratta di vedere se qualche partecipante a quel quadro intenderà farne tesoro per cambiare davvero le cose di un Paese destinato altrimenti ad un inesorabile declino. Ancora più accentuato di quello su cui ci siamo incamminati nel corso degli ultimi trent’anni.

Giancarlo Infante

 

(Pubblicato su www.politicainsieme.com)