Il paradosso della felicità. Nel nord Europa si vive meglio, si ma ci si suicida di più – di Cassandra M. Verticchio

Il paradosso della felicità. Nel nord Europa si vive meglio, si ma ci si suicida di più – di Cassandra M. Verticchio

Ogni anno l’ONU redige il World Happiness Report, una valutazione della felicità dei diversi paesi del mondo, basandosi su parametri di reddito, aspettativa di vita, sostegno sociale, libertà, fiducia e generosità. Ai primi posti Finlandia, Danimarca, Svizzera, Islanda Norvegia e Paesi Bassi. L’Italia è 30esima mentre la Grecia è addirittura 77esima.

Questa fotografia non si sposa, o meglio fa sorgere qualche domanda, se accostata al report annuale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che analizza il tasso di suicidi nei vari paesi, indicatore importante per determinare lo stato di felicità e benessere di una nazione.

La domanda che sorge spontanea è dunque… perché in paesi più ricchi nei quali il welfare è più attivo e la disoccupazione minima, il numero di persone che decide di togliersi la vita è così più alto che in nazioni in difficoltà?

In Thee Shadow of happiness studio effettuato dal 2012 al 2016 redatto dal Consiglio dei ministri Nordico e dell’Istituto di ricerca sulla Felicità di Copenaghen, viene data una spiegazione ‘istituzionale’. Con anche la costatazione che il patter detto a U della distribuzione della felicità (giovani e anziani le fasce solitamente più soddisfatte e meno disagiate), nei paesi scandinavi è rovesciato, la conclusione è che la felicità non è distribuita in modo uniforme. A questo punto la domanda successiva sarebbe…perché nonostante il riscontro di numerosi fattori postivi che innalzano lo stato di benessere e felicità di un paese, permane un tale disagio diffuso?

Quattro prospettive emergono nel cercare di dare una spiegazione a questa domanda.

Quella tradizionalista secondo la quale in paesi ricchi e liberali dove la cultura e i valori tradizionali sono venuti meno o sono andati a modificarsi nel tempo, le persone non avendo più una rete sociale solida come in passato, approdano a infelicità e smarrimento.

Secondo quella progressista bisogna puntare il dito contro il capitalismo e l’individualismo sfrenato che esso genera. Basarsi solo su meri indicatori economici (forte la critica al World Happiness Index) tralasciando quasi del tutto le variabili psicologiche, falsifica la fotografia reale di un paese.

La prospettiva Liberale invece difendendo con forza il sistema economico scandinavo, attribuisce la colpa del tasso dei suicidi a fenomeni esclusivamente climatici. Questo purtroppo si scontra con i numeri anch’essi molto alti in paesi ricchi quali Corea del Sud, Giappone e Usa caratterizzati da condizioni atmosferiche ben differenti.

Ultima la prospettiva religiosa che afferma quanto la mancanza di fede o di una fede comune, può portare la società a soffrire maggiormente rispetto a chi riesce a trovare conforto in un qualche credo.

Happines Suicide Paradox nato da una ricerca condotta da studiosi dell’Università di Warwick, in Gran Bretagna, dello Hamilton College di New York e dalla Federal Reserve Bank of San Francisco è arrivato ad affermare che “gli Stati in cui la popolazione è in genere più soddisfatta della propria vita hanno tassi di suicidio più elevati di quelli in cui il livello di soddisfazione è più basso”.

La conclusione, più che valida e condivisibile, appare questa: le persone in generale meno soddisfatte che vivono in un luogo felice e quasi perfetto, rischiano di deprimersi e amplificare la sofferenza maggiormente, è dunque il contrasto che può portare a gesti estremi.

Cassandra M. Verticchio