I banchieri Usa rinviano ogni decisione … in attesa della Politica – di Guido Puccio

I banchieri Usa rinviano ogni decisione … in attesa della Politica – di Guido Puccio

E’ prevalsa la prudenza nell’atteso incontro dei banchieri centrali americani di Jackson Hole. Le pretese dei “falchi” monetaristi di anticipare la fine dei massicci acquisti di titoli da parte del Tesoro americano (120 miliardi al mese) e di ritoccare al rialzo i tassi di interesse sono state respinte dal presidente della Federal Reserve Jerome Powell che ha confermato, per ora, la sua linea moderata. In sostanza, il capo della Fed si è tenuto le mani libere riservandosi una decisione entro l’anno. Secondo le previsioni della stampa economica americana almeno una parte di tali acquisti, e più precisamente le obbligazioni legate ai mutui immobiliari, potrebbero quindi essere ridotta per avviare un graduale rientro degli stimoli alla ripresa.

Non sono mancate naturalmente robuste prese di posizioni contrarie, ma Powell è rimasto fermo nella convinzione, che sostiene da tempo, che le tensioni inflazionistiche americane sono transitorie e comunque non tali da imporre sin da ora manovre finanziarie restrittive. Non solo, ma maggior peso nelle sue valutazioni avranno gli andamenti della occupazione e il rischio di una eventuale ripresa della pandemia, specialmente nel suo Paese dove l’indice dei vaccinati è ancora basso.

Di fatto la ripresa economica in America è decisamente vigorosa e molti indicatori hanno già superato i livelli pre-covid, ma alla Fed  attendono sia la conferma che l’occupazione cresce ancora  (settembre) sia i dati del COVID-19 dopo l’apertura delle scuole.

Il tasso di disoccupazione in America è sceso al 5,4% dal picco del dieci per cento verificatosi in pieno lockdown, ma bisogna considerare che prima della crisi sanitaria lo stesso tasso sfiorava il tre per cento, una percentuale che gli economisti considerano sostanzialmente di piena occupazione.

Intanto il Senato americano ha dato via libera, con un voto bipartisan, a un programma senza precedenti di investimenti per infrastrutture: ben milleduecento miliardi di dollari voluto da Biden (strade, aeroporti, porti, ferrovie, banda larga, ecc.) e finanziato per intero dalla imposizione fiscale sui redditi delle persone più alti e su quelli delle società, senza utilizzo del debito.

Alla apparenza, questa decisione presa con il consenso di democratici e repubblicani, sembra un indubbio successo del Presidente. Ma la politica è sempre la stessa a tutte le latitudini: per passare alla Camera il provvedimento deve fare i conti con la combattiva leader democratica Nancy Pelosi che ha posto una sorta di condizione secondo la quale non si può procedere con il piano infrastrutturale fino a quando dal Senato non verrà un altro provvedimento atteso, e questa volta  per affrontare i cambiamenti climatici, le spese per la scuola, per la sanità, la lotta alla povertà. La stessa autorevole esponente democratica indica anche la strada per questi provvedimenti: innalzare il tetto del debito pubblico americano. Infatti, per legge, il debito ha un limite massimo già sospeso nel 2019 a tempo limitato ed ora in scadenza. Non è certo un caso anche la responsabile del Tesoro americano Jannet Yellen, già capo della Fed, abbia preso posizione su questo problema avvertendo il Congresso della esigenza di prorogare il termine di rientro oppure di aumentare il debito con misure straordinarie. Una richiesta, peraltro, non certo in contrasto con quanto praticato in tutto il mondo dopo la crisi pandemica e le ricadute economiche.

Come si vede, tutto il mondo è paese.  Ci sono però due differenze per il caso americano. La prima riguarda un Paese dove i provvedimenti di politica economica sono importanti perché corrispondono sempre a decisioni rapide ed hanno effetti immediati. La seconda riguarda una prova decisiva per il Presidente Biden in un momento dove la sua popolarità ha subìto una lesione drammatica nella gestione della politica estera e militare.

Guido Puccio