La nostra resilienza – di Giuseppe Sacco

La nostra resilienza – di Giuseppe Sacco

La mia sarà pure un’opinione  minoritaria, di un’estrema minoranza, forse di una minoranza costituita da una sola persona. Ma secondo me il miglior momento di Mario Draghi nei suoi primi mesi da premier, è stato quando, mentre leggeva un impegnativo discorso, ha avuto un moto di sincera ed esplicita irritazione.  E ha esclamato :“ma che sono tutte queste parole inglesi?!”

Effettivamente, in quell’occasione, Draghi ha espresso un sentimento assai diffuso tra gli Italiani che conoscono un po’ il mondo: l’insofferenza per l’abitudine ormai invalsa presso i loro connazionali – in particolare quelli che con le lingue estere se la cavano male – di riempire di anglicismi il loro linguaggio. O meglio di storpiati miscugli italo-inglesi; come implementare un progetto, supportare un candidato, ritornare al mittente…..

A questa insofferenza debbo francamente confessare che non riesco a sottrarmi. Anzi ammetto di esserne affetto in maniera quasi patologica. Ed è per questo che ho molto apprezzato quell’esclamazione critica con cui Mario Draghi ha per un momento interrotto il suo discorso. E mi è piaciuta la sincerità di quella che, là per là, poteva essere considerata come una critica a se stesso, visto che almeno in linea teorica, l’autore di quel discorso non era altri che lui.  Ma che invece era ovviamente una critica rivolta al suo speech writer……

“Ma come?” – dirà a questo punto qualcuno dei miei venticinque lettori – “Tu, proprio tu, usi un’espressione inglese come “speech writer”? Tu, che non tolleri i discorsi gonfi e ridondanti di anglicismi ! Non potresti almeno tu parlare italiano ?”

Ebbene, si! Potrei. Potrei, ma confesso che non oso! Perché non so se ci siano, nella lingua italiana, altre parole per definire l’oscuro amanuense,  l’intellettuale fallito che sbarca il lunario scrivendo discorsi che altri destinati – invece – al successo, pronunceranno di fronte a folle plaudenti. Io ne conoscono una sola, di parola. Ma è politicamente scorretta, terribilmente scorretta, tanto scorretta che potrei finire sotto processo, se la pronunciassi. Perché nell’italiano dei giornalisti e degli scrittori, uno che scrive discorsi per un altro, caricandosi lui della fatica e lasciando all’altro la gloria del podio si indica – ho meglio si indicava nei bui tempi passati – con la parola oggi proibitissima: si chiamava ne(..)ro.

Relegato ancora più a fondo nel buio dal fatto di non avere neanche più un nome, lo speech writer di Mario Draghi ha dunque – come dicevamo – ben meritato la pubblica rampogna del Presidente del Consiglio. Eppure ciò non è bastato ad insegnare la lezione ai collaboratori di super Mario; perché subito dopo una manina oscura ha operato per infettare la sua prosa con un’altra parola storpiata dall’inglese: la terribile resilienza.

Questa novità nel linguaggio della politica e addirittura della legge mi ha subito ferito. Ma mi ha anche posto un interrogativo più serio: in che tipo di provvedimenti, di atti di governo si tradurrà una politica di resilienza? Sono perciò andato a frugare tra dizionari ed enciclopedie, ed è saltato fuori che la parola inglese resilience significa un sacco di cose. Non solo capacità che in genere si attribuiscono ai materiali: robustezza, plasticità, elasticità, flessibilità, morbidezza. Ma anche aspetti caratteriali degli esseri umani: tenacia, adattabilità, malleabilità, capacità di risollevarsi, capacità di riemergere, capacità di piegarsi, capacità di galleggiamento, …..

Ma a questo punto ho avuto una strana sensazione di déja vu, e mi ha allarmato, riempito la testa di dubbi, ed in ultimo indotto a lasciar perdere. Perché non vorrei alla fin fine scoprire che la resilienza non sia che un altro modo, anglicizzante, à la page, e magari fiochissimo, per ancora una volta dire “tirare a campare”.

Giuseppe Sacco