Anche Conte porta i 5 Stelle al “centro”. Ma come? – di Giancarlo Infante

Anche Conte porta i 5 Stelle al “centro”. Ma come? – di Giancarlo Infante

Con l’arrivo ufficiale di Giuseppe Conte alla guida del Movimento 5 Stelle si completa il trasferimento verso il cosiddetto “Centro” da parte di un po’ di tutti. Anche nel caso dell’ex Presidente del Consiglio, mancano contenuti e l’impressione è quella che si pensi ad occupare una posizione più che a misurarsi su una proposta di cambiamento di largo respiro e di trasformazione autentica, così come atteso dal Paese.

Lo stesso riposizionamento è stato fatto da Matteo Salvini al momento della nascita del Governo Draghi. Non a caso, è stato lasciato da Giorgia Meloni con cui sopravvivono, in ogni evenienza, gl’impegni di potere impostati nelle regioni.

Su Enrico Letta abbiamo ampiamente già detto ( CLICCA QUI ) e ridetto, sottolineando sia l’abbandono della linea proporzionalista seguita finora dal Pd, con la riproposizione di quello che Domenico Galbiati ha definito un bipolarismo d’abord( CLICCA QUI ), sia quegli elementi di continuità che hanno fatto parlare Alessandro Risso di un Partito democratico alla “Zingaletta” ( CLICCA QUI ).

Tutti al centro appassionatamente, dunque? Neppure per idea. In realtà, si tratta di una competizione che si svolge solo su di un campo di battaglia diverso, senza far intravedere la possibilità di dare vita ad un nuovo quadro politico, più in sintonia con le esigenze degli italiani.

Le contingenze della pandemia e, soprattutto, la gran mole di finanziamenti in arrivo dall’Europa, dalla cui gestione dipenderà il futuro dell’Italia, portano tutte le forze politiche a limitarsi ad un’operazione di collocazione formale, inevitabilmente  corredata dal cambio di facce e di linguaggio. Ma ci si ferma, purtroppo, a questo.

Matteo Salvini, non appena ha potuto, ha ribadito la sua idea d’Europa. Si è così incontrato con il duo Viktor Orbán, Primo ministro ungherese, e Mateusz Morawiecki, Primo ministro della Polonia. Due personaggi di destra estrema e contrari all’idea di un’Europa solidale, inclusiva e convergente al proprio interno. Tutti e tre si sono compiaciuti della roboante idea di dare vita a un “rinascimento europeo” basato sui valori tradizionali e conservatori. Si sa che quando mancano le idee non ci si può che affidare alla retorica.

Se Enrico Letta pensava che Salvini avrebbe accolto l’invito ad entrare nel Partito popolare, sperando quindi di poter in questo trovare la legittimazione della riproposizione di uno schema sostanzialmente bipolare, ha ricevuto la miglior risposta.

Del resto, il capo della Lega è costituzionalmente impossibilitato, perché non ce l’ha nel proprio Dna,  a concepire un qualcosa di diverso da quanto seguito finora lungo una deriva di destra, isolazionista e contraria ai principi fondativi della costruzione europea.  Questa è soprattutto frutto di un’idea popolare e dell’impegno dei grandi paesi europei in gran parte permeati politicamente dall’esperienza del cristianesimo democratico.

Giuseppe Conte prova a far passare i Cinque stelle da partito del “vaffa”, sostanzialmente antisistema, in uno disponibile ad accettare pienamente le regole del “gioco” politico. Questo riguarda anche l’assetto proprio del Movimento. Sta giungendo a compimento il superamento finale della dicotomia tra i Pentastellati e la Piattaforma Rousseau emersa chiaramente già all’indomani della scomparsa di Gianroberto Casaleggio. Una frattura aggravata dall’incapacità del Movimento fondato da Beppe Grillo a gestire il grande successo elettorale del 2018  frutto di una certa abilità nel sapersi sintonizzare con il diffuso sentimento di critica antisistema che ha pervaso, e ancora pervade, larghe parti della società italiana, soprattutto nel Mezzogiorno, e nel saper, quindi, dare corpo a quel “populismo” che negli ultimi decenni ha sempre  attirato larghe fasce dell’elettorato.

I risultati sono stati quelli che vediamo. L’idea di gestire addirittura il Governo, prima, con Salvini e, poi, con Zingaretti, ma riducendosi sostanzialmente all’introduzione del solo Reddito di cittadinanza, si è rivelata improba e soverchiante e ha dimostrato l’inadeguatezza nel passare dalla fase della generica protesta a quella della guida politico istituzionale del Paese. I 5 Stelle sono riusciti a “normalizzare” elettoralmente un diffuso sentimento di ostilità, ma non sono riusciti sul piano dei risultati concreti ad “istituzionalizzarlo”.

La storia di molti paesi mostra fenomeni di “populismo” che questo salto di qualità sono riuscite a farli, sia pure portando ad esiti diversi, e non tutti comunque commendevoli. E’ stato il caso di quello mussoliniano trasformatasi in un’azione di restaurazione. Così come quella del peronismo argentino che ha avuto la capacità di perpetuarsi fino ai giorni nostri. Ma volendo potremmo, sia pure solo vagamente, riconoscere alcuni elementi nella più recente esperienza di Macron in Francia, finito all’Eliseo sulla base di un’offerta del tutto alterativa al precedente sistema politico francese. Il futuro ci dirà, al netto delle vicende del Coronavirus, che sembrano influire notevolmente sul convincimento degli elettori, là dove si è votato finora, se il Presidente francese sia riuscito o meno ad accreditarsi come elemento di cambiamento e di alternativa al tempo stesso rispetto ai partiti tradizionali d’Oltralpe. Evidente la conferma anche nel caso di personaggi come Donald Trump, il brasiliano Jair Bolsonaro, e il filippino Rodrigo Duterte.

Giuseppe Conte prova adesso a trasformare il “populismo” grillino puntando- ha detto- ” a compiere una completa opera di rigenerazione del Movimento che non rinneghi il passato e i valori. Bisogna valorizzare l’esperienza fatta, ma guardando alla nuova stagione politica”.

A mio avviso lo fa affastellando una serie di cose in cui probabilmente crede davvero ed altre che appaiono necessariamente solo enunciate per giustificare questo trasbordo dei Cinque Stelle, o meglio, di quanto resterà dell’entità che li ha portati ad essere la principale forza parlamentare di questa legislatura, verso una posizione che si può definire più di centro.

Così, Conte ha parlato di “rispetto della persona; ecologia integrale, secondo cui occorre affidarsi a modelli di sviluppo aperti a misurare le condizioni effettive di benessere equo e sostenibile; la giustizia sociale”, e per rassicurare i più “duri e puri” ha garantito l’impegno per il “rafforzamento della democrazia diretta, la democrazia diretta digitale che resterà un punto fermo del neo Movimento”. Come ha fatto Enrico Letta per il Pd, anche Conte rinvia al prossimo futuro la sostanza destinata ad innervare un nuovo posizionamento.

Il passaggio dal “V -Day” dal settembre 2007 ( si scrive così per non usare la più volgare espressione allora in voga, nda) al Giuseppe Conte di oggi ha un che di stratosferico e di funambolico, visto che l’ex Presidente del Consiglio è giunto a dire: ” “In passato il M5s è ricorso a espressioni giudicate spesso aggressive ma ogni fase ha la sua storia, dobbiamo essere consapevoli che la politica non deve lasciare sopraffarsi dalla polemica, deve riconoscere anche la bontà delle idee altrui”.

Il punto resta sempre quello dei contenuti. Quelli di Salvini, restano chiari, è l’unico pregio da riconoscergli. Ma per quanto riguarda Letta e Conte ancora molto resta da essere detto, scritto e fatto.

Giancarlo Infante