Amazon sciopero per i diritti – di Giuseppe Careri

Amazon sciopero per i diritti – di Giuseppe Careri

Nei giorni scorsi c’è stato il primo sciopero nazionale dei lavoratori di Amazon Italia contro la precarietà, i ritmi di lavoro insostenibili e i contratti atipici che rendono i lavoratori “ricattabili” di perdere il proprio posto di lavoro.

Lo sciopero, proclamato dai sindacati unitari, ha visto la massiccia partecipazione di circa il 70% dei lavoratori, mentre la multinazionale stima un numero di scioperanti decisamente inferiore.

I lavoratori di Amazon Italia hanno proclamato lo sciopero invitando la popolazione ad essere solidale con loro evitando di fare acquisti nella stessa giornata della protesta. Naturalmente Amazon è scesa in campo dichiarando che i lavoratori sono una priorità per la loro azienda. In realtà è l’eterno conflitto tra il profitto dell’azienda e i diritti dei lavoratori in difesa del salario e soprattutto la salvaguardia della propria salute minacciata spesso da ritmi di lavoro insostenibili.

In questa contesa, infatti, una delle richieste primarie dei lavoratori ad Amazon è di diminuire intanto i ritmi insostenibili di consegna dei pacchi in tutto il territorio nazionale richiesti dai clienti. S parla di una consegna di circa 180/200 pacchi in poco più di 3 minuti, che costringe i lavoratori dei pullmini a correre per tutta Italia per riuscire nell’impresa di consegnarli tutti. La trattativa contrattuale è al momento sospesa e il Segretario della Cgil Maurizio Landini ha sollecitato l’azienda a riaprire le trattative. In una dichiarazione al Corriere della Sera Landini ha precisato: “Le tante manifestazioni di solidarietà che ci sono state in queste ore, vogliono riaffermare il principio che fare impresa nel nostro Paese è riconoscere il diritto alla contrattazione collettiva nazionale e aziendale e a un corretto sistema di relazioni sindacali”.

L’Azienda ha subito replicato affermando che l’impegno di Amazon è quello di tutelare con priorità assoluta i propri dipendenti e i fornitori. La multinazionale ha poi fatto di più occupando uno spazio televisivo pubblicitario per dire: “Ad Amazon non solo pensiamo in grande, ma agiamo in grande. Raggiungeremo emissioni di CO2 entro il 2040. Abbiamo ordinato 100 mila veicoli elettrici. Abbiamo oltre 80 progetti di energia rinnovabile in tutto il mondo, e questo è solo l’inizio”

La potenza di fuoco della multinazionale si scontra però con la richiesta di diritti dei lavoratori, dei turni spesso intollerabili, dei controlli asfissianti a cui sono sottoposti attraverso un algoritmo che ne misura ogni momento i tempi per l’evasione del prodotto e poi l’ulteriore controllo della consegna finale ai clienti.

Negli anni 60/70 non esisteva l’algoritmo; il controllo della produzione era affidata gerarchicamente agli ingegneri e via via ai capetti di reparto. Racconta uno di loro, ormai in pensione da tantissimi anni, che ricorda: “C’erano, da parte dell’azienda che produceva telefoni per tutto il mondo, dei “capetti” dietro le tue spalle che verificavano il tempo impiegato per fare una bobina, un microfono, una molla. I tempi di realizzazione erano sempre serrati, continui, asfissianti, difficile da mantenerli. Eravamo spesso costretti a fare il cottimo, a correre, correre, correre, per sperare di prendere il premio di produzione. I “capetti” controllavano perfino quanto tempo impiegavamo per fare pipi. Una situazione di lavoro massacrante 8/10 ore al giorno, a volte anche di più.

Oggi i controlli sono ben più sofisticati per controllare tutto e tutti. Si è parlato di braccialetti, un grande fratello, per verificare il ritmo di evasione del prodotto da consegnare poi al cliente attraverso le centinaia di pullmini in giro per l’Italia. Le consegne dei pacchi sono poi affidati ad appalti esterni che possono terminare il loro impegno quando lo decide la multinazionale; gli autisti, ragazzi e uomini maturi, sono così costretti a consegnare la merce correndo più del solito, con il rischio di un incidente o di una multa che magari debbono pagare loro stessi. Un lavoro precario con il rischio di perderlo per i motivi più diversi. Certo il contratto, per certi versi, cautela il lavoratore, ma la decisione ultima è comunque dell’azienda. Per questo nelle rivendicazioni contrattuali è necessario puntare, oltre al salario, sui diritti sacrosanti del lavoratore.

Scrive Stefano Rodotà ex Presidente della Camera dei deputati nel suo libro il Diritto di avere Diritti: “Un innegabile bisogno di diritti, e di diritto, si manifesta ovunque. E così con l’azione quotidiana, soggetti diversi mettono in scena una ininterrotta dichiarazione di diritti, che trae la sua forza non da una qualche formalizzazione o da un riconoscimento dall’alto, ma dalla convinzione profonda di donne e uomini che solo così possono trovare riconoscimento e rispetto per la loro dignità e per la stessa loro umanità”.

Giuseppe Careri