Maggioranza e opposizione si restituiscono gli anelli di fidanzamento. Intanto Sagunto è espugnata – di Giancarlo Infante

Maggioranza e opposizione si restituiscono gli anelli di fidanzamento. Intanto Sagunto è espugnata – di Giancarlo Infante

Abbiamo dovuto pubblicare il comunicato stampa degli infermieri: quasi 15 mila operatori sanitari contagiati nell’arco dei soli ultimi 30 giorni ( CLICCA QUI ). L’ordine dei medici chiede la chiusura nazionale ( CLICCA QUI ). Domenico Galbiati è più che giustificato nel momento i cui esprime i timori che si possa assistere a un cedimento del “fronte interno” ( CLICCA QUI ).

C’è poco da consolarsi con il fatto che si tratti di contagi del tutto diversi rispetto a quelli della prima ondata della pandemia. Gli ospedali cominciano a mostrare criticità, moltissimi disservizi sono segnalati in materia di assistenza per il Coronavirus-19. La cura delle altre patologie, anche gravi, rischia di essere trascurata, se non annullata. Alla fine, il bilancio in termini di vite umane può essere comunque drammatico.

Mentre a Roma si discute, Sagunto è espugnata. Brividi lungo la schiena corrono nel rimandare alla mente la locuzione di Tito Livio, poi, drammaticamente ripresa dal cardinale Pappalardo in occasione dei funerali del generale Carlo Alberto dalla Chiesa.

Purtroppo il “fidanzamento” tra Governo e maggioranza con l’opposizione è durato appena lo spazio di un telegiornale. Nonostante il prodigarsi in questa direzione da parte del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, siamo solo stati illusi alcune ore. Alla fine, non c’è nessun matrimonio e siamo alla restituzione degli anelli di fidanzamento. Interessante chiedersi del perché.

Da un lato, il Governo tira dritto per la propria strada e continua ad andare avanti a colpi di Dpcm. Annunciati in  modo da continuare a porre la questione della loro legittimità, nel senso che una certa “ordinarietà” deve pur essere data ad una situazione straordinaria destinata a durare nel tempo, finiscono per perdere anche quella valenza “educativa” necessaria nel pieno di una lotta contro un nemico insidioso. Andremo avanti così anche per tutto il 2021?

Già lo abbiamo detto: la comunicazione è inadeguata alla bisogna; banale come quasi tutto il resto della nostra politica( CLICCA QUI ). Invece di preoccuparsi di stare sulle prime pagine dei giornali o riempire troppe volte inutili servizi televisivi, meglio sarebbe curare il silenzio e cercare di essere conseguenziali. Con la seconda fase del confinamento è indubbiamente aumentata la confusione. Questo non aiuta a contrastare i due alleati del Coronavirus: l’incertezza e lo spirito divisivo. Qua e là si esplicitano segnali preoccupanti in relazione alla tenuta dell’ordine pubblico. Se ne accorge solo il Capo della Polizia?

Dall’altro lato, l’opposizione conferma di avere esclusivamente in testa l’idea di ribaltare il quadro politico. Legittimo, ma al tempo stesso discutibile. E’ grave che Matteo Salvini non si preoccupi di quanto le sue terre siano fustigate dal virus e tratti i loro problemi come un qualsiasi argomento di polemica spicciola. E’ grave che Giorgia Meloni baratti la disponibilità al dialogo con l’impegno ad andare alle elezioni subito dopo la crisi provocata dal Covid-19. Ma che cosa c’entra? Sa lei quando esattamente tutto questo finirà? Sono le classiche situazioni in cui si vede nitidamente lo spartiacque tra un qualunque politicante e uno o una statista.

La situazione è particolarmente aggravata dal tira e molla in cui restano impegnati Governo e regioni. Il gioco del cerino acceso, che ciascuno vorrebbe lasciare tra le dita di qualcun altro, nasconde quella che si potrebbe definire una carenza che non risparmia nessuno.

Sappiamo che dei piani straordinari per le pandemie avremmo dovuto occuparcene già dal 2003. I governi precedenti, come alcuna regione, non l’hanno fatto. Nessuno può lanciare la prima pietra. Lo scaricabarile in corso vuole forse servire a nascondere questo: l’enorme responsabilità collettiva di tutto il ceto politico, vecchio e nuovo?

Gli antichi ritardi si sono ripresentati di nuovo: a fine ottobre ( CLICCA QUI ), sembra che solamente tre regioni ( Friuli Venezia Giulia, Veneto e Valle d’Aosta ) avessero organizzato il numero delle terapie intensive fissato in 14 posti letto ogni 100.000 abitanti. Il Governo lo aveva previsto all’interno di un provvedimento da 1,3 miliardi di euro. Non sono noccioline e peccato che le deleghe del Commissario Arcuri siano arrivate alle regioni solo a partire dal mese scorso.

La domanda di fondo viene spontanea: cosa ne è stato speso, come? Resta in ogni caso poco chiaro quante le nuove strutture di terapie intensive siano effettivamente destinate ai pazienti affetti dal Coronavirus e quante vadano invece ai pazienti, definiamoli così, ordinari. Un quesito più che fondato alla luce delle notizie che giungono di normali padiglioni svuotati dai degenti alle prese con altre patologie gravi, senza sapere di ciò che a quest’ultimi accada nella realtà. La nebbia della polemica circonda i dati reali. Poi ci si lamenta dei magistrati che vogliono vederci chiaro.

Se non fossimo costretti a piangere, si dovrebbe davvero ridere a ripensare al roboante decreto di sette mesi fa, intitolato DECRETO-LEGGE 9 marzo 2020, n. 14 – Disposizioni urgenti per il potenziamento del Servizio sanitario nazionale in relazione all’emergenza COVID-19. Stabiliva in dieci giorni la data entro cui le regioni avrebbero dovuto organizzare le ” Usca”, le unità speciali individuate per l’assistenza a domicilio dei malati cosiddetti Covid-19, prevedendone la costituzione di una ogni 51 mila abitanti. Invece, la fotografia al 21 ottobre scorsa fatta dal Fatto Quotidiano è impietosa ( CLICCA QUI ): in Veneto attivate 51 squadre su 98. Anche in Campania circa la metà. In Lombardia “ne mancano due su tre”.

Leggiamo ( CLICCA QUI ), sperando in una sollecita smentita, che in Campania non sono ancora stati aperti i tre “Covid Center” previsti a Napoli, Caserta, Salerno cui è stata destinata la spesa di 18 milioni di Euro. Oggi stanno, invece, ripiegando sulle tende. Sarà il caso che i colpi di bazooka, oltre che su chi non rispetta le ordinanze sul distanziamento, il Presidente De Luca cominci a spararli all’interno degli uffici della sua Regione?

Nel Lazio non si sa a che punto si sia con il famoso progetto degli “alberghi Covid”, cioè le strutture in cui si possa accogliere i positivi asintomatici invece di lasciarli a casa dove potrebbero infettare i familiari. Ovviamente, tutti tacciono sulla riapertura del Forlanini e del San Giacomo due ospedali destinati a investimenti immobiliari che si potrebbero invece rivelare vitali nell’alleggerire gli altri nosocomi. Confermato il detto londinese: da noi nessun mistero, ma tutto è segreto, in Italia si sa tutto, ma è tutto un mistero. L’impronta data da Zingaretti alla Regione Lazio conferma l’amenità britannica.

Insomma, molto fa avvalorare il sospetto che al centro dell’attenzione non ci sia la battaglia contro il virus. Bensì altro. Un contorno sostanzioso fatto di potere e della gestione di ingenti risorse. Distribuite in maniera incontrollata grazie a un’operatività che si continua a giustificare con una situazione di emergenza. Per quanto tempo si potrà andare avanti in questo modo? Seguirà la stagione delle inchieste come accaduto dopo altre vicende italiane?

Per dare a ciascuno il proprio: quanto sta costando l’attività commissariale di Arcuri? Se andate sul sito che riguarda il Commissario straordinario per l’emergenza Covid-19 ( CLICCA QUI ) trovate dei titoli, poco di più. Soprattutto non se ne ricava un dettagliato elenco delle spese fatte, sulla loro destinazione, sulla corrispondenza delle cifre impegnate e i prodotti o le prestazioni realmente ottenute. In un paese civile questo sarebbe del tutto logico attenderselo. Soprattutto perché le doverose, impegnative voci di spesa destinate a rispondere all’emergenza provocata dal Coronavirus dovrebbero a maggior ragione essere documentate proprio per la straordinarietà dell’intervento. Proprio perché tale, il commissariamento non significa far venire meno trasparenza e condivisione delle informazioni, non giustifica alcuna deresponsabilizzazione o il dovere di effettuare una rendicondazione completa, chiara e trasparente, possibilmente nei tempi più stretti possibili. Inoltre, le ingenti somme in ballo, almeno 150 miliardi?, finiranno per pesare così tanto sul debito pubblico che male non farebbe il sapere di come lo stiamo aumentando e in che misura ci apprestiamo ancora di più a lasciarlo in carico alle future generazioni.

Ciò ci porta ad affrontare, diciamo così, un corollario rappresentato da quanto riguarda il Mes, il Recovery Fund e gli altri strumenti straordinari finanziari preannunciati in sede europea. Solo preannunciati, però, perché sul grosso di questi interventi ancora sembra di essere tutti in alto mare. Mi rendo conto che si tratta di questione estremamente delicata, in corso di definizione e, quindi, come non sia del tutto ovvio attendersi che il Governo si metta a sbandierare ai quattro venti ciò che deve restare riservato, soprattutto perché ancora in fase di complessa trattativa.

E’ però evidente come a Bruxelles non si sia giunti ad alcun accordo sostanziale. Se si provasse a indagare tra le pieghe della complessa partita in corso con i cosiddetti paesi “frugali” del nord Europa, forse, ci sarebbe davvero da chiedere quanto ci costeranno quelli che ci aspettiamo un pò tutti come “aiuti”. E’ evidente come anche la parte a fondo perduto, circa 90 miliardi di euro, si otterrà davvero se in sede di definizione del bilancio europeo, alla prima settimana di novembre sembra ancora essere in “mente dei”, daremo ai paesi contrari al Recovery fund le adeguate compensazioni. Di qualunque somma si tratti, però non dimentichiamocelo, la finiremo per pagare anche noi che siamo il terzo paese contribuente in sede comunitaria. Bisognerà, allora, fare davvero il cosiddetto “conto della serva” per vederne rischi e convenienza.

Anche per quanto riguarda la valutazione se attingere o meno al Mes, parliamo esclusivamente di quello che dovrà riguardare la questione sanitaria, si tratta di valutazioni complesse; non si risolvono né a colpi di annunci miracolistici né con sparate pregiudizialmente contrarie. Si tratta di debiti che andranno ripagati. Questo è bene metterselo in testa. Questo di per sé non è un male, anzi. Tutto dipende dalla loro giustificazione e dai meccanismi di ripresa economica che l’indebitamento può innescare.

Ora, noi sappiamo che il nostro Paese non riesce neppure ad investire annualmente per più che pochi miliardi. Siamo sicuri che nelle nostre attuali condizioni saremo in grado di utilizzare virtuosamente le decine e decine di miliardi che posso arrivare  e giustificare, così, l’enorme indebitamento cui andremmo inevitabilmente incontro? Con questo Governo? Con questa opposizione? Domanda più che legittima se si pensa ad una favola fresca fresca che comincia così: ” C’era una volta la task force di Vittorio Colao… “. Già che fine ha fatto quel mirabolante “piano di rinascita”?

La prima cosa che una buona politica dovrebbe fare propria è … la memoria. Gli italiani hanno dimostrato spesso che non ne hanno sempre avuto una buona, ma chissà che, almeno per questo, il Coronavirus non faccia il miracolo.

Giancarlo Infante

 

Immagine utilizzata: Pixabay