Riparte il dibattito sul Mes – di Daniele Ciravegna

Riparte il dibattito sul Mes – di Daniele Ciravegna

Il MES (Meccanismo Europeo di Stabilità; in lingua franca, European Stability Mechanism – ESM) è tornato protagonista dei dibattiti politici nel nostro paese.

Quando fu istituito, nell’ottobre 2012, quasi nessuno ne parlò, se non sul piano strettamente tecnico. Esso era stato costituito quale strumento per neutralizzare gli effetti di crisi finanziarie, sorte all’interno o importate, coinvolgenti i paesi dell’Eurozona, subentrando all’European Financial Stability Facility e affiancandosi all’European Financial Stabilization Mechanism (che continua ad esistere quale supporto al MES), istituiti nel 2010, nel pieno delle conseguenze della crisi monetaria mondiale (scoppiata in primis negli Stati Uniti) del 2007-2008 e, nello specifico, della crisi finanziaria greca.

Nella seconda parte del 2019, il MES divenne protagonista di primo piano del dibattito politico italiano con riferimento ai progetti di riforma dell’istituto stesso. A partire dallo scorso aprile, in relazione alla possibilità di utilizzare le linee di credito del MES per il finanziamento dell’assistenza sanitaria e dei costi, diretti e indiretti, relativi alla la cura e alla prevenzione del COVID-19.

1 – Per fare chiarezza, innanzitutto vediamo che cos’è questo “meccanismo”. Di diritto, esso è un’istituzione intergovernativa permanente costituita dagli stati membri dell’Unione Economica e Monetaria dell’Unione Europea (UEME, detta anche Eurozona), esterna al quadro giuridico dell’UE, con piena autonomia decisionale e gestionale, con proprio capitale apportato dagli stati membri e potere di raccogliere fondi con l’emissione di strumenti finanziari o con la conclusione di intese o accordi finanziari o di altro tipo con i propri stati membri, altri istituti finanziari o altri soggetti.

La sua funzione fondamentale è concedere, sotto condizione, assistenza finanziaria agli stati membri che, pur avendo un debito pubblico sostenibile, abbiano grandi difficoltà a finanziarsi sui mercati finanziari. Ciò a modificazione dell’approccio iniziale dell’UEME in materia di finanza pubblica – d’impostazione ordoliberistica – fondato sulla prevenzione delle crisi del debito sovrano, affidata al rispetto di regole di bilancio volte a mantenere disavanzi e debiti pubblici entro limiti considerati prudenti e senza la previsione di alcun strumento di salvataggio.

Di fatto, il MES agisce quale prestatore di ultima istanza nei confronti degli stati dell’Eurozona, venendo a svolgere ciò che normalmente svolgono le banche centrali dei paesi non dell’Eurozona. Quest’ultima fu istituita in un contesto tipicamente neoclassico-monetaristico, che vede gli stati quali grandi pericoli per la stabilità monetaria: gli stati non devono guastare, con le loro richieste di finanziamento con nuova base monetaria, l’asettico comportamento delle banche centrali (l’offerta di moneta non deve poter essere utilizzata quale strumento di politica economica dello Stato) e quindi fu introdotto, nello statuto della BCE, il divieto assoluto di finanziare la spesa pubblica dei paesi aderenti. Ma questo divieto è presente solo nell’Eurozona; non c’è negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Svizzera, in Giappone, negli altri paesi dell’Unione Europea e del mondo. L’istituzione del MES è una chiara dimostrazione dell’insensatezza della predetta regola monetaristica.

Ad ogni modo, tutti gli interventi del MES devono rispettare il principio di condizionalità, cioè sono subordinati all’attuazione di politiche di risanamento concordate con la Commissione Europea, che può coinvolgere anche la BCE e il Fondo Monetario Internazionale (la cosiddetta Troika), che può finire con l’assumere la forma di una specie di commissariamento.

Il MES opera con riferimento alle crisi d’instabilità finanziaria delle economie dei paesi membri: non solo quelle riguardanti gli stati, ma anche quelle riguardanti i sistemi bancari. In presenza di un rischio per la stabilità dell’Eurozona nel suo complesso o di suoi paesi membri, l’ESM può intervenire concedendo:

  • linee di credito precauzionali a stati che rispettano il requisito della sostenibilità del debito pubblico e non presentano squilibri macroeconomici eccessivi, ma hanno problemi di stabilità finanziaria, poiché sono colpiti da choc avversi. In particolare, esistono due tipi di linee di credito: Precautionary Conditioned Credit Line (PCCL) e Enhanced Conditions Credit Line (ECCL), che si differenziano per i criteri d’accesso e per la rigorosità delle condizioni richiesta al fine di ottenere la linea di credito.

Attualmente la prima è riservata ai paesi che rispettano i seguenti criteri: a) rispetto delle norme di bilancio dello Stato (anche se uno Stato è soggetto a una procedura per eccessivi disavanzi, purché vengano seguite le decisioni e le raccomandazioni del Consiglio Europeo); b) rispetto dei requisiti della procedura per la sorveglianza sugli squilibri macroeconomici; c) un track record di accesso ai mercati dei capitali a condizioni ragionevoli; d) una posizione esterna sostenibile; e) nessun problema di solvibilità bancaria.

I membri del MES che non rispettano una delle precedenti condizioni, ma che presentano comunque una sana situazione economica e finanziaria complessiva, e sempre un debito pubblico sostenibile, potranno accedere all’ECCL:

  • prestiti a stati che non rispettano pienamente le predette condizioni. Per essi, è inevitabile la definizione di un programma di aggiustamento macroeconomico, che può coinvolgere anche forme di partecipazione del settore privato;
  • acquisti di titoli del debito pubblico sul mercato primario o su quello secondario;
  • prestiti per ricapitalizzazione bancaria indiretta;
  • ricapitalizzazione diretta di istituti bancari.

L’ESM non è un meccanismo per la ristrutturazione del debito sovrano, anzi è rivolto a evitarla: la ristrutturazione può essere presa in considerazione solo in casi eccezionali e solo nel caso in cui le condizioni poste assumano forme di aggiustamento macroeconomico.

2 – Rispetto al succinto quadro sopra descritto, la proposta di modificazione dell’anno scorso del trattato istitutivo dell’ESM interviene in quattro aree principali:

  1. a) la governance dell’ESM e i rapporti e la cooperazione fra questo e la Commissione Europea;
  2. b) le condizioni per la concessione dell’assistenza finanziaria precauzionale da parte dell’ESM. Vengono definiti in modo più preciso i termini della preventiva valutazione di sostenibilità del debito e si affianca il criterio della verifica ex ante della capacità di ripagare il prestito. Nel nuovo Allegato III, vengono recuperati ancora una volta i vecchi due parametri del Patto di stabilità e crescita europeo del 1997 (già inclusi fra i requisiti preliminari per l’ammissione all’Eurozona, previsti dal Trattato di Maastricht del 1992: passano i tempi e le criticità economiche, ma questi parametri sono immutabili!) concernenti i rapporti deficit pubblico / PIL e debito pubblico / PIL nonché il vincolo, contenuto nel Fiscal Compact del 2012 (che peraltro il Parlamento Europeo, a fine 2018, ha rifiutato d’introdurre nell’ordìnamento giuridico dell’UE) del rientro da un’eventuale situazione, per lo Stato considerato, di eccesso rispetto al 60 per cento del rapporto fra debito pubblico e PIL, nella misura di un ventesimo all’anno.
  3. c) la semplificazione della disciplina delle clausole di azione collettiva, nel caso in cui uno Stato decida di procedere alla ristrutturazione del debito;
  4. d) la costituzione dell’ESM quale istituto di sostegno (backstop) al Fondo di risoluzione unico nella gestione delle crisi bancarie, nel caso in cui le risorse del Fondo stesso non siano sufficienti a finanziare gli interventi che deve porre in essere.

Uno dei punti più discussi nel dibattito politico dell’anno scorso è che la modifica dell’ESM apra le porte ad azioni di ristrutturazione del debito pubblico degli stati in condizione di crisi finanziaria (con pressoché inevitabile perdita di parte del patrimonio dei creditori). In verità nulla è scritto a questo proposito nella proposta di modificazione del Trattato dell’ESM e il testo del 2012 ne parlava come “caso eccezionale”. A questo proposito, valgono pur sempre le seguenti parole del Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco: «I benefici contenuti e incerti di un meccanismo per la ristrutturazione del debito vanno valutati a fronte del rischio enorme che si correrebbe introducendolo: il semplice annuncio di una tale misura potrebbe innescare una spirale perversa di aspettative d’insolvenza, suscettibili di auto avverarsi». (Si tengano a mente le tremende conseguenze dell’annuncio del coinvolgimento del settore privato nella risoluzione della crisi greca dopo l’incontro di Deauville di fine 2010. Anche se si può ben tener in conto che le attuali proposte di modificazione all’ESM, riguardanti le clausole di azione collettiva, possono essere state all’origine del sorgere di aspettative che il nuovo Trattato anticipi possibili eventi di ristrutturazione del debito pubblico dei paesi membri).

3 – A partire dall’aprile di quest’anno, il dibattito politico sul MES si è spostato sull’opportunità di utilizzare una specifica linea di credito – denominata Pandemic Crisis Support (PCS-ECCL) – per il finanziamento dei costi sanitari diretti e indiretti e di cura e prevenzione del COVID-19. È una linea di credito del tipo ECCL (la meno esigente per il rispetto delle condizioni per l’accesso) senza vincoli di natura macroeconomica; per di più – sulla base di un’analisi preliminare dei requisiti da rispettare, effettuata dalla Commissione Europea in collaborazione con la BCE e le strutture del MES – tutti gli stati dell’Eurozona hanno già ottenuto una valutazione positiva in merito all’ammissibilità, ragion per cui l’unico vincolo che è rimasto presente è quello del campo sanitario, in cui tutto dev’essere speso. Vien meno il vincolo della “rigorosa condizionalità” prevista dalla modificazione del 2011 dell’art. 136 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, che ha permesso la creazione del MES. Rimane comunque l’impegno, per tutti i paesi, a partire dal termine del programma (fine del 2022) a perseguire il rafforzamento dei propri fondamentali economici e finanziari, coerentemente con il quadro previsto dalle istituzioni dell’Unione Europea (clausola fortemente voluta dai cosiddetti “paesi frugali”).

La durata di questa linea di credito è di 10 anni e il costo del finanziamento è pari al costo della raccolta, con l’aggiunta di alcune commissioni che attualmente portano il costo del finanziamento per gli stati a meno dell’1 per cento.  È ben vero che il costo del finanziamento per le operazioni d’indebitamento diretto da parte degli stati è attualmente non molto superiore (per l’Italia da -0,5 a 2 per cento, nelle ultime aste), ma non è questo il fatto importante.

La prima differenza importante è che, ricorrendo al MES – così come ai futuri prestiti attivati all’interno del Recovery Fund – il singolo Stato non si presenta sul mercato. Sono rispettivamente il MES e l’Unione Europea (soggetti che hanno fortissima, massima, credibilità e quindi non attaccabili dalla speculazione finanziaria internazionale) a rivolgersi al mercato e sappiamo che la forte esposizione debitoria dello Stato (quale è quella dell’Italia) potrebbe essere fonte di destabilizzazione finanziaria per il Paese, per cui ogni via che permetta di avere risorse senza ricorrere al mercato è da considerarsi preziosa. Per di più, il MES è in grado di erogare i suoi prestiti più celermente del programma Recovery Fund.

E questo ci porta alla seconda differenza importante. Ricorrendo alla linea di credito del MES dedicata al sostegno contro la pandemia del COVID-19 – e utilizzandola appieno – ci si vincola a spendere almeno 36 miliardi di euro nel campo della sanità. Mettendo queste nel calderone del Programma Next Generation EU (finanziato dal Recovery Fund), potrebbe sorgere la tentazione di lesinare di nuovo sulle spese per la tutela della salute, a favore di altri settori.

Mi rendo conto che le mere argomentazioni economiche non hanno vita facile di fronte alla presenza di “effetti stigma” (nel caso specifico, nei confronti del MES per il Movimento 5 Stelle) ma, dando spazio a questi effetti, non si governa bene. Si governa bene operando per l’affermazione di valori primari e la salute della popolazione è primario obiettivo finale per il valore della centralità e dignità della persona. Non facciamo che questo rilevante obiettivo possa essere intaccato dall’operare di scaramucce partitiche!

Daniele Ciravegna