La Turchia sempre più aggressiva. Anche con l’Armenia

La Turchia sempre più aggressiva. Anche con l’Armenia

La Turchia di Erdogan è decisamente una spina nel fianco per tutti i suoi vicini e per coloro che ambiscono a una convivenza pacifica nel bacino mediterraneo. Purtroppo dobbiamo serenamente constatare che la potenza anatolica ha fatto una precisa scelta di campo che la pone in rotta di collisione con noi mediterranei europei e con quelli che sono, o dovrebbero essere, i valori fondanti della UE.

L’ultima iniziativa nel Caucaso è e deve essere la goccia che fa traboccare il vaso, che pone la Turchia fuori da qualsiasi discorso di integrazione europea. L’attacco Azero agli armeni del Nagorno-Karabah è stato ampiamente appoggiato dal “sultano” turco. Per gli antefatti storici (leggasi il genocidio armeno di inizio ‘900) è assolutamente inammissibile che la Turchia possa appoggiare un’aggressione a sfondo etnico-religioso contro un popolo che ha massacrato per gli stessi motivi un secolo fa.

Se gli attriti nel caucaso sono sicuramente legati a solidi motivi economici, come il controllo dei grossi oleodotti che partono dai ricchi campi petroliferi di Baku e dell’asia centrale è anche vero che il dato etnico – religioso non è affatto secondario: gli armeni cristiani temono un nuovo genocidio mentre gli azeri vogliono cacciare dal suolo patrio islamico quelli che descrivono come invasori cristiani. Imbarazzato e imbarazzante in tal senso il silenzio europeo probabilmente dovuto alla condivisione coi turchi del campo NATO anche se, malignamente, potremmo pensare che anche altri fattori influiscano sul silenzio. Su tutti le difficoltà sollevate dal ricatto migratorio cui Ankara ci sottopone, i diffusi investimenti industriali europei condotti nel corso di questo ventennio nel paese anatolico e, ultimo ma non ultimo, l’interesse della Germania a tacitare la sua consistente minoranza turca, assommante a quasi 3 milioni di persone. Come risultato evidente pochi anni fa, la comunità turco-tedesca mantiene ben saldi i legami con la madrepatria e, per soprammercato, è politicamente orientata all’appoggio di Erdogan e, a tal proposito, si ricordi come, nel corso dell’ultima tornata elettorale turca, Erdogan abbia palesemente blandito questa minoranza e come ciò abbia portato, addirittura, alla pubblica presa di posizione in suo favore da parte di alcuni noti di calciatori della nazionale tedesca di origine turca.

Un movimento politico nuovo e alternativo, che fa della fedeltà ai principi di giustizia, cooperazione e pace la propria bandiera, dovrebbe avere la lucidità di percepire ed interpretare la realtà con realismo ma, al contempo, deve avere il coraggio, almeno nelle questioni di principio, di affermare ciò che è giusto e ciò che non lo è, talvolta, anche a costo di rimetterci. Per questo motivo si accetti la libera scelta della Turchia di essere “altro” rispetto all’Europa e si agisca dando seguito alle conseguenze che l’assoluta alterità del mondo turco rispetto alla nostra idea di Europa comporta. Circa la questione del Nagorno-Karabah sarebbe opportuno riconoscere lo status quo figlio della guerra armeno-azera dei primi anni ’90: ossia il Nagorno-Karabah è un territorio con una sua dimensione indipendente che deve esser lasciata libera di costituirsi nazione o federarsi all’Armenia. Tutto ciò sarebbe giustificabile in virtù del principio di autodeterminazione dei popoli che, in questo caso, avrebbe la primazia sulla tutela dell’integrità territoriale degli stati poiché è dal ’94 che l’Azerbaigian non ha effettivo controllo su quella regione abitata da armeni. Una simile decisione, oltretutto, manderebbe un chiaro messaggio di come nel 2020 conflitti motivati da odio etnico e religioso non abbiano ragione d’essere e non possano trovare soluzioni favorevoli a chi li scatena.

Probabilmente una simile risoluzione, se condivisa almeno dalle tre superpotenze, porrebbe fine a un’annosa questione e, al contempo, si invierebbe un chiaro messaggio ad Ankara: L’avventurismo militare condotto in spregio del buon senso e dei trattati internazionali deve finire, e deve finire subito con tutto guadagno per i fronti mediterranei, nord africani e mediorientali sinora agitati dalle manovre di Erdogan.

Purtroppo è facile prevedere che, dopo l’Armenia, le mire di Ankara riguarderanno Cipro e quindi il nord-Africa e l’Egeo: il neo ottomanesimo ha giocoforza questi obiettivi dichiarati e li perseguirà a meno che non si provveda a fermarlo per tempo. Malgrado gli avvenimenti caucasici in questi giorni Ankara non ha mancato di provocare greci e ciprioti Inutile ricordare che storicamente, purtroppo, la politica di appeasement condotta verso i leader aggressivi non ha mai pagato e anzi, nel caso peggiore, ha fruttato una guerra mondiale.

Una chiosa finale è d’uopo riservarla a Israele che per motivi di convenienza geopolitica non si fa scrupolo di appoggiare stati, associazioni e cause solo in funzione del mantenimento della frammentazione regionale che Tel Aviv vede come garanzia primaria per la propria sopravvivenza e tranquillità. La rivalità tra la Sublime Porta e il Trono del Pavone è plurisecolare ed è su questa atavica rivalità che gioca Israele: armando gli Azeri filo turchi, apre un fronte settentrionale all’Iran creando una potenziale minaccia non ignorabile e costringe Mosca a un sottile gioco diplomatico per evitare che le contese armeno-azere si propaghino anche alle sue repubbliche caucasiche a maggioranza islamica.  Da questa situazione Israele trae un triplo vantaggio poiché allontana dalla Siria e dal Medio Oriente le risorse dei tre stati lasciando così il proprio fianco nord-orientale al sicuro.

Mattia Molteni