Il Coronavirus e il futuro prossimo della scuola – di Francesco Provinciali

Il Coronavirus e il futuro prossimo della scuola – di Francesco Provinciali
Oltre gli spazi e i tempi come coordinate di fondo allo scenario della ripresa delle lezioni che proiettati su un
diagramma cartesiano rendono l’idea di una sorta di quadratura del cerchio senza soluzioni certe, i banchi
attesi e si spera in arrivo, gli organici aggiuntivi da assegnare, le linee guida organizzative e sanitarie, il
distanziamento, le mascherine, l’alternativa della didattica a distanza ridotta al rango di ipotesi mal digerita,
il trasporto degli alunni da e per la scuola, il loro accompagnamento da parte di un solo genitore, il divieto di
ingresso dei familiari nei locali scolastici, la misurazione preventiva della temperatura corporea effettuata al
mattino a casa, la mensa, l’uso degli spazi esterni, il ricorso a locali messi a disposizione o richiesti ad enti
vari, nuove e grigie nubi si addensano sull’inizio dell’anno scolastico.
Metro in una mano e manuale delle linee guida nell’altra i dirigenti scolastici hanno preso tutte le misure
possibili ai locali scolastici, vagliato tutte le soluzioni esperibili, sondato – consultandosi tra loro e
gerarchicamente o con le autorità locali – ogni ipotesi percorribile: comunque andranno le cose
ricorderanno per un po’ di anni questa estate infuocata nella quale si sono accumulate e sovrapposte
congetture e preoccupazioni di ogni tipo.
Viene spontanea una domanda: se lo stato di emergenza era stato decretato il 31 gennaio u.s. e il lockdown
avviato a fine febbraio il Ministero e il Governo stesso nella sua coralità non potevano pensare per tempo,
prevedendo problemi e soluzioni?
Si discetta di primazia di educazione e istruzione nei convegni ma si inciampa nei sassi fuori posto del selciato da calpestare. Oggi il sistema scolastico (con la prova del nove che lo aspetta al varco della forca caudina da oltrepassare) è l’icona più emblematica del gap che separa in Italia la teoria dalla pratica: troppi soloni saccenti e poco ascolto della forza-lavoro militante.
La scuola è un tema che suscita commenti, esternazioni, opinioni in ogni meandro sociale, si sono costituite commissioni di esperti ma viene il dubbio che gli addetti ai lavori che conoscono il funzionamento reale della macchina scolastica – in primis proprio i dirigenti scolastici e i docenti- siano stati consultati e ascoltati tardivamente. Oltretutto si sarebbero evitate perdite di tempo su ipotesi impraticabili tipo cabine di plexiglass ma
soprattutto ci si sarebbe concentrati sui due problemi principali che affliggono chi la scuola la conosce
davvero: gli spazi utilizzabili con i relativi arredi e le dotazioni organiche aggiuntive utili per ridurre la
consistenza delle classi pletoriche da ospitare in aule inadeguate persino in tempi di non pandemia. Tutti i
problemi sono stati affidati invece a sperimentazioni labili e spontaneistiche come la DAD (una soluzione
tutt’affatto strutturata e collaudata) con evidenti discrasie e penalizzazioni per vaste aree del Paese,
rimuginati a tavolino con una produzione pletorica di veti, divieti, disposizioni capestro, obblighi cogenti che
costringeranno il personale e gli alunni ad una vita scolastica surreale, con salti mortali doppi tripli e
carpiati. A cominciare dalla gestione dei gruppi in capo ai docenti e dagli orari di apertura dei plessi.
Si ha motivo di pensare che dirigenti scolastici e docenti non trascorreranno le notti che precedono l’avvio
delle lezioni (tutto sommato sperimentale, empirico, radicalmente diverso e particolare di contesto in
contesto) come il principe di Condè trascorse la notte avanti la battaglia di Rocroi: c’è più di un motivo da
togliere il sonno ai più ottimisti ed esperti organizzatori della vita scolastica.
Nel momento poi in cui bisognerebbe serrare le fila in nome della funzionalità del sistema, di una solidarietà
che rende la scuola un contesto di vita ‘speciale’ basato su una relazionalità intensa e guidata dal buon
senso, ecco che piovono da più parti diffide nei cfr. dei dirigenti scolastici: genitori, ma anche docenti, che
contestano mascherine, distanziamenti, profilassi, orari, modelli organizzativi e didattici in via cautelativa
ma con toni spesso minacciosi: eppure ‘in situazione’ si sta facendo tutto il possibile per ripartire in dignità e
sicurezza. Dall’alto si sono invitate le parti ad un “patto educativo scuola-famiglia”.
Ma ci sono nodi insoluti: il Ministero ha diramato la nota prot. 1466 sulla “responsabilità dei Dirigenti
scolastici in materia di prevenzione e sicurezza” proprio allo scopo di creare una sorta di scudo istituzionale
all’operato di capi d’istituto, per evitare che debbano rispondere di eventi non imputabili a colpa o dolo. Ma
le diffide, già inoltrate copiosamente, obiettano nel merito dei provvedimenti assunti dal Ministero stesso in
ossequio agli indirizzi delle linee guida: in altre parole – con motivazioni ed eccezioni di varia natura – i
presidi dovrebbero rispondere ai “ricorrenti e diffidanti” di ciò che eseguono nell’esercizio delle loro
funzioni, adempiendo ad ordini superiori di rango amministrativo e di indirizzo igienico e di profilassi,
secondo le indicazioni ricevute dagli esperti della scienza e della medicina preventiva. Chi li diffida vorrebbe costringerli a mettere in atto comportamenti non previsti dall’Amministrazione e considerati quindi illegittimi e difformi dalle norme.
Il clima si esaspera in modo velenoso proprio in coincidenza con la fase critica della riapertura delle scuole.
Si aggiunga che nel DL di agosto è stato tolto il passaggio relativo alle tutele sanitarie degli ultra 55enni
facenti parti della categoria dei cd. “lavoratori fragili” nel momento apicale del contagio.
Si tratta di circa 400 mila lavoratori della scuola, in un primo tempo annoverati tra i soggetti fragili a motivo
dell’età: realisticamente ciò può avere una giustificazione di prevenzione sanitaria (lo stesso INAIL ad aprile
aveva ipotizzato per loro una sospensione temporanea dal lavoro) ma se ciò avvenisse ‘ope legis’ si
porrebbe ovviamente la necessità di doverli sostituire con supplenti temporanei. E’ ipotesi fattibile?
Il rischio del contagio continua invece ad essere considerato per i lavoratori immunodepressi o affetti da
particolari patologie che li sovraespongono dal punto di vista epidemiologico, con danno potenziale diretto
per se’ e di riflesso per gli alunni stessi: se un soggetto immunodepresso è più esposto a contrarre il virus lo
può a sua volta trasmettere con maggiore facilità. Per questo possono chiedere di essere valutati dal cd.
“medico competente” di istituto. Sul punto si registrano prese di posizione difformi rispetto agli ultra 55enni
ma si deve anche considerare che sono mutate le statistiche, con una diminuzione verticale dell’età media
dei contagi: ora – si dice- sono i giovani che contagiano gli anziani.
Quanto allo “scudo penale e civile” si ha l’impressione che la nota ministeriale citata, nell’intendimento di sollevare i dirigenti scolastici da eventi non attribuibili a loro negligenza, assuma le sembianze di una solenne benedizione “urbi et orbi” impartita da un sacrestano. E’ noto infatti che la sindrome da risarcimento è malattia diffusa e ancor più contagiosa, specie tra coloro che dovrebbero usare certe cautele domestiche non delegabili alla scuola.
Le linee guida amministrative e sanitarie prevedono prassi e tutele ma il fattore imprevisto è sempre dietro
l’angolo: la responsabilità è personale e – in epoca di caccia alle streghe -una eventuale, presunta ipotesi di
negligenza potrebbe comportare una sua valutazione in sede giudiziale.
Quanto alla misurazione a casa della temperatura corporea dei propri figli può essere definita una
procedura incerta e discrezionale che rende tutto aleatorio, volatile e discutibile. Il timore è che si creino
contenziosi al primo starnuto e che ogni sforzo organizzativo a cui è chiamata la scuola possa essere
vanificato. Attribuire alle famiglie il compito di accertare e riportare lo stato di salute del figlio (compresa la
misurazione della temperatura) senza un competente e documentato controllo medico è una concessione
‘leggera’ e demagogica che ricorda la prassi delle autocertificazioni.
Questa modalità operativa di passaggio di consegne del figlio che diventa alunno appena varca la soglia
dell’istituto scolastico ( e viceversa: “io te l’ho portato sano e tu me lo restituisci malato”) , ordinariamente
pacifica in tempi non sospetti, potrebbe diventare una sorta di ‘mina vagante’ suscettibile di incomprensioni
e conflitti. Intanto sul capo dei dirigenti scolastici piovono le diffide “apriori”.
Francesco Provinciali