“Tutto è in frantumi e danza” – di Guido Puccio

“Tutto è in frantumi e danza” – di Guido Puccio

“Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi” dice Tancredi, il nipote prediletto del Principe di Salina nel “Gattopardo”, il grande romanzo di Tomasi di Lampedusa.  Ma questa volta la devastazione così estesa della emergenza sanitaria, e la profonda crisi economica che ne sta conseguendo, sono molto più sconvolgenti dello sbarco di Garibaldi in Sicilia che aveva turbato il Principe di Salina ed è francamente difficile immaginare che alla fine tutto ritorni come prima.

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Tra le poche riflessioni di qualità degne di attenzione vi è certamente quella di Joseph Stiglitz, premio Nobel dell’economia, che in una recente  intervista condotta da Gianrico Carofiglio ( “Robinson”, n. 178, maggio)  evita l’insidia delle previsioni per mettere piuttosto in evidenza quello che questa crisi ci insegna. E tra queste “l’importanza della scienza; il ruolo strategico del settore pubblico e la necessità di azioni collettive; le conseguenze disastrose delle disuguaglianze e della negazione dell’accesso alla assistenza sanitaria come diritto umano fondamentale; i pericoli di una economia di mercato dalla vista corta, incapace di resilienza.” Da ultimo Stiglitz esprime perplessità sulle varie forme di reddito garantito da assicurare per tutti, sostenendo che anche in futuro “sarà sempre il lavoro ancora più importante per il benessere delle persone”.

Sempre tra le prime conseguenze della crisi pandemica è da notare una analisi di Robert Reich, dell’Università di Berkeley, applicata alla realtà americana, ma che potrebbe valere anche per il nostro Paese, secondo la quale l’impatto economico ha già aumentato le ineguaglianze sociali facendo emergere nuove classi. I “remoti” come tecnici e professionisti che attraverso il lavoro a distanza mantengono il loro reddito; gli “essenziali” come medici, infermieri e forze di polizia; i “senza salario” cioè coloro che hanno perso il lavoro e i “dimenticati” ovvero i migranti, i ricoverati nelle case di riposo, i sottoproletari. (Rivista San Francesco,5, maggio). Forse è la scomposizione del ceto medio e del lavoro ma certamente tre su quattro di queste fasce sociali saranno portatori di ulteriore disagio.

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Bastano le due riflessioni sopra proposte per capire che ci troviamo davanti a rischi di sconvolgimenti seri per ampiezza e profondità.

Il lungo periodo di spettacolare crescita economica, che è durato dal dopoguerra fino ai primi anni duemila, già era stato messo in crisi dalla grande recessione del 2009 che aveva scoperto il disordine e gli squilibri del predominio incontrollato della finanza sulla economia reale.

Ora in crisi è l’intero sistema economico, ormai globalizzato, a causa di un invasore silenzioso e a dimensione planetaria che ha reso di colpo vulnerabile ciò che si riteneva acquisito e permanente.  E’ sufficiente pensare, e valga come esempio, alla impressionante caduta del prezzo del petrolio per renderci conto della fragilità del tanto rispettato mercato.

Se alla crisi finanziaria di dieci anni orsono si era rimediato da parte delle autorità monetarie immettendo nel sistema bancario volumi smisurati di danaro, o imponendo provvedimenti brutali di austerità (si pensi alla Grecia, ma non solo) oggi si assiste come prima reazione a quanto di più inimmaginabile si potesse pensare solo all’inizio dell’anno in corso: il ricorso indiscriminato al debito pubblico anche da parte dei Paesi già più indebitati, interventi assistenziali a pioggia per imprese e famiglie, limitazioni temporanee ma forzose della libertà di movimento, l’arresto di fatto del sistema della produzione e della mobilità. Ecco perché è irrealistico ritenere che alla fine tutto torni rapidamente come prima.

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Per ora, come dice il poeta, “tutto è in frantumi e danza”, si è rotta una staticità e probabilmente sono in pochi ad avere idea di che cosa fare. E’ la ‘trappola evolutiva’ come definiscono Guido Maria Brera ed Edoardo Nesi i cambiamenti repentini che “annientano interi pezzi di economia reale, spostandone gli equilibri”.

E di conseguenza molte cose cambieranno.

E’ verosimile che nell’ambio della Unione Europea si andrà verso una revisione dei Trattati; che i problemi ambientali a cominciare dall’aria, dall’acqua e dal suolo dovranno essere affrontati seriamente dai Governi; che i modelli di economia sostenibile a cominciare dai cicli delle manifatture e dagli scambi, fino all’utilizzo delle energie alternative, secondo quella che si definisce ‘economia circolare’ entrino senza perplessità nei processi produttivi;  che si trovino nuovi strumenti per affrontare lo spaventoso aumento della disoccupazione; che vengano considerati severamente i rischi delle minacce terroristiche, ora che sono noti gli agghiaccianti effetti della diffusione di un virus.

Ed è sperabile che torni la politica, quella vera fatta di generosità e competenze; che in ogni caso (torna alla mente il “whatever it takes” di Draghi) vengano tutelati il sistema democratico e l’ordinamento costituzionale dei diritti e dei doveri; che prevalga il rispetto dei valori fondanti della Unione Europea, così come la pace e le alleanze occidentali.

Tra ciò che appare come verosimile e ciò che è sperabile la risposta questa volta non potrà dipendere dalle convenienze.

Guido Puccio