Per il dopo Coronavirus e disoccupazione: pensare all’orario di lavoro e al servizio civile

Per il dopo Coronavirus e disoccupazione: pensare all’orario di lavoro e al servizio civile

Per uscire dall’emergenza del COVID 19 non bastano provvedimenti tampone, non basta imporre l’isolamento più o meno mitigato dalla fase 2, non basta erogare finanziamenti alle aziende che, per altro, non arrivano!

Occorrono delle soluzioni  per governare una crisi senza precedenti e la conseguente  disoccupazione che incombe.

Di seguito una serie di  proposte che possono attenuare almeno in parte il problema della disoccupazione.

Il primo strumento è la riduzione  dell’orario di lavoro. L’orario di lavoro nei secoli scorsi scorso era di dieci ore di lavoro al giorno compresi i fine settimana per un totale di circa 80 ore settimanali. Successivamente nel 1800 le ore di lavoro passarono a 60 e poi a 50 sia per conquiste sindacali sia per la mutata struttura dell’organizzazione del lavoro stesso.

Le nuove tecnologie aumentavano la produttività e causavano la riduzione del numero degli occupati in particolar modo nella grande industria. Nel 1900 dopo un ventennio di battaglie scandite dallo slogan otto ore di lavoro, otto ore di riposo, otto ore per il resto e l’orario di lavoro fu portato a 40 ore settimanali. In Germania a partire dal 1982 l’orario di lavoro arrivò a 38 ore settimanali e in Francia nel 1998 il governo portò la settimana lavorativa a 35 ore. Negli ultimi tempi, con il progresso tecnologico che è continuato a crescere non si è verificata una ulteriore riduzione dell’orario di lavoro anche se sono state introdotti vari meccanismi di flessibilità come ad esempio  il part-time.

Oggi l’emergenza da corona virus con la relativa riduzione dell’occupazione ci costringe a riprendere il discorso. A parità di costo del lavoro per unità di prodotto, il lavoratore ricaverebbe  una diminuzione del proprio orario di lavoro con  più tempo a disposizione da dedicare alle proprie relazioni personali , ai propri interessi, all’impegno civile e alla cittadinanza attiva, con  lo svantaggio di una  riduzione del proprio reddito.

Per la società la riduzione dell’orario di lavoro porterebbe una riduzione della disoccupazione mantenendo immutata la produttività e di conseguenza la competitività del sistema paese

Alcuni esempi  realizzati in Europa (vedi caso Volkswagen) dimostrano poi che dalla riduzione dell’orario di lavoro  si può ottenere un aumento della produttività, con la conseguenza di poter dividerne  il vantaggio tra impresa e lavoratore che non si troverebbe ridotta la propria retribuzione.

Un’altra possibilità di assorbire la disoccupazione causata dal COVID 19 e dalle innovazioni tecnologiche (automazione, robotizzazione, informatizzazione ecc.) può derivare anche dallo sviluppo del terzo settore.

Con  il termine di terzo settore si intende quel complesso di enti privati che si collocano tra stato e mercato e sono orientati alla produzione di beni e servizi di utilità sociale. Il terzo settore si pone quale fine ultimo del proprio agire il perseguimento della pubblica utilità e il conseguente incremento del livello di benessere collettivo. Il terzo settore negli ultimi anni ha avuto un notevole sviluppo    In Italia oggi ci sono più di 300.000 istituzioni no profit, quasi 5000 di volontariato con 700.000 addetti che sono aumentati in questi ultimi 10 anni di ben il  40%.

La globalizzazione comporterà sempre di più una diminuzione della forza lavoro nella produzione dei beni di consumo e di investimento, mentre esistono  invece enormi potenzialità di crescita occupazionale nel settore dei servizi sociali e nei servizi alla famiglia, nelle attività culturali così  come quelle legate alla protezione dell’ambiente e alla cooperazione internazionale.

Si tratta di servizi che lo stato oggi produce con costi eccessivamente alti e che invece potrebbero essere completamente affidati al terzo settore in una piena ottica di sussidiarietà.

Un’altra forma di lavoro da mettere in campo per contrastare la disoccupazione può essere l’home working. Il corona virus ha dimostrato che in alcuni settori è possibile lavorare da casa aumentando la produttività e riducendo  l’orario di lavoro. Il lavoro da casa annulla gli spostamenti e quindi riduce i livelli di inquinamento atmosferico. Lo smart working è un modello di lavoro che utilizza nuove tecnologie informatiche ,migliora le prestazioni e può creare nuovi posti di lavoro. Il settore quindi va potenziato e regolamentato.

Altro settore nel quale è possibile aumentare l’occupazione è quello del servizio civile. Il servizio civile è una importante occasione di formazione e di crescita personale e professionale per i giovani. I settori di intervento sono: assistenza, protezione civile, patrimonio  ambientale, storico, artistico, educazione e promozione culturale, agricoltura in montagna, promozione della pace e tutela dei diritti umani. Il servizio civile è una occasione di lavoro e una importante esperienza, un lavoro socialmente utile per la collettività e per l’immissione nel mondo del lavoro dei giovani.

Per uscire dalla crisi causata dal corona virus bisogna finanziare adeguatamente il servizio civile aumentando notevolmente i  volontari e allargandolo anche ai senior (dai 29 ai 60 anni), una sorta di albo organizzato per competenze ed esperienze professionali.

A queste proposte si possono aggiungere altri sostegni al reddito  come il reddito di cittadinanza o il reddito universale, ma da erogare solo in via temporanea .

Concludendo bisogna mettere in campo tutte le risorse esistenti per ridurre la disoccupazione che deriverà dal corona virus per evitare pericolose tensioni e crisi sociali.

Maurizio Angellini