Omaggio a Susanna Di Pietra e alla sua lingua dei segni – di Giuseppe Careri

Omaggio a Susanna Di Pietra e alla sua lingua dei segni – di Giuseppe Careri

Il sipario si apre con il capo della Protezione Civile Angelo Borrelli seduto al centro del tavolo; alla sinistra dello schermo televisivo lo scienziato che lo affianca per la parte medica; a destra, in piedi, la speaker della lingua dei segni Susanna Di Pietra.

Vestita in maniera sobria con un vestito e una blusa nera, la traduttrice delle parole trasformate in segni è sempre attenta, professionale, competente, mai distratta. Scandisce i tempi della traduzione con il linguaggio dei segni e del corpo come un direttore di orchestra.

Un lavoro particolarmente delicato soprattutto in un momento di grandi difficoltà e di un numero di morti incredibile a causa del Coronavirus. Numeri drammatici da comunicare con attenzione perché rivolti in particolare ad anziani sordi privi di informazione salvo quella del linguaggio dei segni. Non solo numeri, quindi, ma anche emozione, sentimento, partecipazione.

Romana di 33 anni, Susanna Di Pietra è iscritta al corso di Laurea di Formazione Primaria; da 12 anni lavora come assistente alla comunicazione e interprete Lis. Dal 25 febbraio è stata chiamata ad assistere il Capo della Protezione Civile Angelo Borrelli nella comunicazione dei dati del Covid-19 attraverso il linguaggio dei segni.

Dice Susanna: Anch’io, come tutti, sento il peso delle informazione che sono chiamata a illustrare attraverso non solo dell’alfabeto dei gesti, ma anche del linguaggio del corpo. Se le frasi pronunciate dai relatori vengono espresse con un tono allarmato o rassicurante, chi svolge il mio lavoro deve essere in grado di trasferire ai sordi anche questi particolari tipi di emotività”.

Indubbiamente un lavoro delicato per i contenuti, ma anche indispensabile per una fascia di persone, soprattutto anziane, che possono così accedere ad una comunicazione dedicata a loro e alle loro famiglie. In questa fase della vita così dolorosa per tutti a causa del virus, Susanna viene chiamata anche nelle Conferenze Stampa del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte.

Racconta di se: Essendo nata da genitori sordi ho subito avuto a che fare con la lingua dei segni, ma con l’aiuto dei miei nonni, tutti udenti, mi sono esposta da subito anche all’italiano. Sono di fatto una bilingue, una che però si sente al 50% sorda e al 50% udente, dipende dal contesto in cui mi trovo ad operare”.

Per lungo tempo si è parlato dell’utilità del linguaggio dei segni che per alcuni scienziati avrebbe impedito ai bambini di imparare una lingua parlata. In realtà ci sono stati episodi in alcune parti del mondo più povere che avrebbero poi convinto della necessità di una lingua dei segni.

E’ accaduto in Nicaragua, negli anni ‘80. Un giorno in una strada di Managua, racconta un bambino, ci fu una grande rissa ed io assistetti all’uccisione. Cercai di spiegarlo ai miei genitori ma senza il linguaggio dei segni non capirono. Feci allora un disegno e finalmente compresero il dramma che avevo vissuto. Fu allora che aprirono una scuola per insegnare ai ragazzi il modo di esprimersi attraverso i gesti, l’espressione del viso e i movimenti del corpo. Per settimane 50 bambini frequentarono la scuola dei segni che permise loro, finalmente, di esprimersi e farsi capire. Oggi, per fortuna, possiamo vedere e ascoltare cantanti che accompagnano la voce della loro canzone con il linguaggio dei segni.

In Italia sono almeno 70 mila i sordomuti;  grazie agli insegnanti che si sono fin qui formati, tutti possono ascoltare nella lingua dei segni le comunicazioni che vengono diramate dalle televisioni, soprattutto in un momento drammatico come quello che stiamo vivendo per la pandemia.

E’ un’esperienza fantastica, dice Susanna, sia sotto il profilo personale ma soprattutto sotto quello sociale: il poter veicolare le informazioni così vitali ad una fascia di persone, per di più anziane, mi riempie di gioia”.

E’ una funzione sociale che consente a migliaia di persone di conoscere questa realtà cruda, terribile e dolorosa del coronavirus; di vedere un volto, una figura, una di loro, che in qualche modo cerca di dare loro conforto per superare la paura di un virus sconosciuto a noi e al mondo intero.

“Ce la faremo”

Giuseppe Careri