L’Italia e l’Europa: una crisi esistenziale – di Maurizio Cotta

L’Italia e l’Europa: una crisi esistenziale – di Maurizio Cotta

A questo punto tutti dovrebbero aver capito (ma ahimè ancora pezzi di classe dirigente in giro per l’Europa e per il mondo sembrano faticare a convincersene) che la crisi del corona virus è destinata ad avere un impatto, oltre che sulla nostra vita personale (in senso drammaticamente reale e non figurato), sull’economia e sui sistemi politico-sociali paragonabile per entità a quella economico-finanziaria scoppiata nel 2007/2008.

Per noi italiani ci riguardano in particolare le conseguenze sul nostro paese e sull’Europa nella quale siamo profondamente inseriti. Per far fronte a questa crisi le parole chiave sono verità e solidarietà. Verità, intesa come onesta e seria capacità di cercare di capire la portata della emergenza, ma anche come coraggio di dire le verità scomode che da questa scaturiscono. Solidarietà, cioè disponibilità a comprendere i divari di “sofferenze” (sanitarie, sociali, economiche) che nelle crisi si manifestano con ancora più forza tra persone, gruppi sociali, aree territoriali, stati, e poi a cercare soluzioni capaci di costruire ponti tra questi divari..

E’ bene innanzitutto ricordare che nessun sistema socio-politico (stato, unione sovranazionale, alleanza) può non solo rispondere efficacemente ad una grave crisi, ma alla lunga neanche sopravvivere se non riesce a suscitare e mobilitare un livello consistente di solidarietà al suo interno.  Ma per far questo è necessaria preventivamente una grande operazione di verità che dia basi di fiducia agli sforzi solidali.

Cominciamo dall’Italia, dove la crisi ha ormai manifestato tutta la sua gravità. Se, a questo punto, dopo una forse comprensibile, ma troppo lunga incertezza, la verità sulla crisi sanitaria si è palesata con sufficiente chiarezza, ci sono altre verità collaterali che dobbiamo conquistare se vogliamo dare risposte adeguate. La prima che sta emergendo con evidenza è che il nostro sistema sanitario per quanto complessivamente buono (spesso considerato uno dei migliori al mondo) non era sufficientemente preparato ad affrontare emergenze di questo genere, e in secondo luogo che le sue troppo forti disparità territoriali in termini di efficienza potrebbero in alcune regioni d’Italia non reggere se investite con uguale forza. La classe politica nelle sue componenti nazionali e regionali (ma anche i cittadini che votano) può continuare a far finta di niente su questi punti?

La seconda verità su cui riflettere è la capacità complessiva del sistema economico-politico italiano di far fronte ad una crisi di prima grandezza. La fatica ed enorme lentezza con la quale il sistema Italia stava cercando di uscire dalla crisi economico-finanziaria del 2008 e dalle sue conseguenze ci pongono oggi in condizioni particolarmente difficili di fronte ad una nuova grave crisi, e ci dicono che in tutti questi anni non abbiamo affrontato con sufficiente serietà e coraggio le debolezze strutturali della nostra economia e del nostro sistema amministrativo. Possiamo rimandare ancora?

Una terza verità che dovrebbe emergere da questa crisi riguarda il rapporto tra potere centrale e poteri periferici (regionali e municipali) del nostro paese. Se da un lato è chiaro che un paese molto eterogeneo come l’Italia non può basarsi principalmente su un potere centralizzato e che poteri locali forti e autonomi sono una risorsa essenziale per costruire risposte adatte alle diversità territoriali e per mobilitare le forti risorse locali di solidarietà, è altrettanto chiaro che i poteri di coordinamento e di intervento centrali devono essere definiti con maggiore certezza e in certi aspetti rafforzati se si vuole tenere insieme il paese, potenziare le capacità locali e sopperire alle loro deficienze. Dopo anni di confuse riforme anche in questo ambito è tempo di agire con lucidità.

Se la classe dirigente saprà affrontare questa operazione verità, la solidarietà che la cittadinanza mostra di essere disposta a mettere in campo potrà offrire le basi per un cambiamento più strutturale del paese e per raggiungere un più forte livello di solidarietà sistemica.

L’Unione Europea (e questo vuol dire sia le sue istituzioni “federali” come la Commissione e il Parlamento Europeo, che quelle intergovernative come il Consiglio Europeo e l’Eurogruppo) dal canto suo deve affrontare una operazione di verità su sé stessa che finora non è stata capace di condurre. Deve cioè riconoscere che se continua a interpretarsi principalmente come un grande mercato unico non sarà in grado di salvare neppure questa (pur importante) realizzazione.

Il mercato unico europeo rimarrà in piedi con i suoi benefici effetti se ci sarà una autorità politica europea capace non solo di imporre regole e vincoli (come il patto di stabilità, i divieti di aiuti di stato o il Fiscal Compact), ma anche di capire i fallimenti del mercato (che necessariamente ogni mercato comporta) e conscia della responsabilità di rispondere ai bisogni concreti dei suoi cittadini. Questo vuol dire prima di tutto, oggi, come ieri, saper riconoscere l’impatto fortemente asimmetrico che le crisi (sia che si tratti di crisi finanziaria, migratoria o sanitaria) producono in una Unione ancora fortemente eterogenea e capire che le risposte non possono essere tagliate solo sulla misura delle componenti più forti dell’Unione.

Una Europa che si pensa solo come autorità regolatrice del mercato allenterà magari un poco le regole nel momento della crisi, ma questo non basterà ai paesi in crisi, anzi confermerà di fronte ai mercati finanziari internazionali la loro debolezza.  Una Europa che si riconosce come Unione politica dovrà invece darsi strumenti di intervento attivo (un fondo per investimenti europei, una vera politica di redistribuzione dei migranti, risorse per interventi di emergenza nei disastri ambientali o sanitari, ecc.) proporzionati alla sua dimensione. Non è certo di buon auspicio la discussione in corso fino a ieri sul bilancio pluriennale dell’Unione che verteva sugli zero virgola e neppure lo sono i 25 miliardi promessi dalla Presidente della Commissione Europea quando bisognerebbe parlare di almeno venti volte tanto per fare la differenza.

Le crisi possono essere stimolo per cambiamenti che non si aveva il coraggio di mettere in atto prima, ma possono anche essere sprecate. Su questo si misurerà la qualità delle classi dirigenti dei paesi europei.

Maurizio Cotta

Pubblicato su www.politicainsieme.com