Scampia ammaina le vele contro il supermarket della droga – di Giuseppe Careri

Scampia ammaina le vele contro il supermarket della droga – di Giuseppe Careri

Con una gru di 130 tonnellate di peso e un’altezza di 52 metri, è iniziata la demolizione della quarta vela verde di Scampia. L’intento del Comune di Napoli e di gran parte degli abitanti di Secondigliano, Sindaco allora Bassolino era, ed è ancora, l’assoluta necessità di riqualificare un territorio che negli ultimi anni era particolarmente degradato. Altre tre vele di Scampia erano state demolite con l’ausilio di tritolo negli anni 1997-2003.

Le sette vele di Scampia erano state costruite negli anni 60-70 su progetto dell’Architetto Franz Di Salvo per dare finalmente un alloggio economico decente agli abitanti di Secondigliano, una isolata e povera periferia di Napoli.

Le costruzioni, un vero e proprio alveare, erano state costruite con una serie di pannelli in cemento armato precompresso, che delimitavano i vari appartamenti attraverso una moltitudine di scale e lunghissimi corridoi. In effetti, per chi non aveva mai avuto una casa decente, le vele rappresentavano allora un discreto passo avanti nella scala sociale. Gli appartamenti, della grandezza di 50-70 metri quadrati, erano comprensive di due stanze, tinello, cucina e bagno con doccia.

A Scampia, però, mancavano spazi comuni, giardini, negozi, chiesa, asili nido, librerie, scuole e quanto altro avrebbe permesso una vita sociale al di fuori della casa. Nel tempo la malavita prese il sopravvento in questo deserto sociale. Lo spaccio della droga, uno dei più estesi al mondo occidentale, fu l’attività criminosa principale di Gomorra. Spacciavano persino ragazzini di 10-11 anni, privi di una guida familiare abbagliati dal facile guadagno. Le vele rappresentavano un facile nascondiglio alla polizia per i suoi punti di “vedetta” e il labirinto dei corridoi che consentivano una facile scappatoia nei casi di retate improvvise della polizia e dei carabinieri. Ma le vele non furono responsabili del degrado di tutta la zona di Scampia, anche se furono costruite una vicina all’altra rubando lo spazio comune a tutta la zona. L’arrivo della nuova camorra negli anni 80 ebbe facile gioco ad arruolare la manovalanza per lo più di ragazzi di strada e disoccupati.

La zona di Scampia divenne il territorio della camorra, un territorio di violenze, morti, aggressioni, milioni di euro ricavati attraverso lo smercio della droga e dello sfruttamento della prostituzione;  la colpa del degrado e dello smercio della droga non fu certo delle costruzioni una accanto all’altra, con i suoi lunghi territori, la miriade di scale e terrazzi che consentivano alle “vedette” di fare le sentinelle del quartiere.

Ora si tenta di voltare pagina con l’abbattimento della vela verde in quaranta giorni previsti per la demolizione. Poi sarà la volta della penultima vela ad ammainare la bandiera del degrado e della camorra. Ne rimarrà in piedi una sola, assegnata al comune di Napoli come simbolo e rappresentanza dello Stato.

Poi ci sarà la ricostruzione del territorio di Scampia, evitando errori del passato che hanno consentito il degrado di tutta la zona e il proliferare della malavita.

Negli spazi ricavati dalle demolizioni sono previste scuole, negozi, giardini, biblioteche, tutto quello, cioè, che è mancato negli anni 70 e a seguire. Oggi si è fatto un primo passo, ma non quello definitivo.

I politici locali, Il Sindaco, il Presidente di Regione e le Istituzioni tutte devono fare ancora uno sforzo titanico per “risarcire” moralmente gli abitanti di Scampia degli anni di degrado e di violenze, della sofferenza di intere famiglie, di ragazzi abbandonati a se stessi in mano alla camorra, alla sopraffazione fisica e morale e, peggio ancora, all’illusione di un loro sogno perduto per sempre. Molti sono rimasti invischiati nella rete della malavita; altri sono fuggiti da un destino infame.

E’ giunta l’ora della ricostruzione di un territorio da riqualificare per ricominciare a parlare di Scampia come della rinascita di una città, immersi tutti in una folla dove “non ci si senta soli e sperduti come non mai.

Giuseppe Careri