La scuola divisa tra ricchi e poveri – di Giuseppe Careri

La scuola divisa tra ricchi e poveri – di Giuseppe Careri

Recentemente la scuola elementare Nazario Sauro di Roma ha pubblicato sul suo sito una direttiva ministeriale riguardante le quattro sedi elementari e medie dislocate in diversi plessi della città. Nella sede centrale di Via Trionfale, ad esempio, la scuola poteva accogliere “alunni appartenenti a famiglie di ceto medio-alto”; in un quartiere popolare di Monte Mario “alunni di estrazione medio bassa e alunni di cittadinanza non italiana”; infine nella sede di Via Cortina d’Ampezzo, una zona signorile della città, “alunni appartenenti all’alta borghesia e a figli dei lavoratori dipendenti occupati presso queste famiglie”.

Apriti cielo!!! Molti genitori hanno subito protestato per questa presentazione “classista” della Scuola divisa per classi sociali. Proteste sui media dei sindacati e dei partiti che hanno chiesto la rimozione dal sito del testo di presentazione della scuola. La Preside dell’Istituto sotto accusa, una laurea in Psicologia, in precedenza aveva guidato la scuola Carlo Pisacane di Torpignattara, una degli istituti più multietnici della capitale.

Nella polemica Interviene anche la nuova Ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina che dichiara: “Descrivere la propria popolazione scolastica per censo non ha senso. La scuola dovrebbe sempre operare per favorire l’inclusione”.

Per riparare a quanto scritto sul proprio sito il Consiglio d’Istituto decide di togliere dal testo i riferimenti alle diverse tipologie sociali delle classi. Il Consiglio d’Istituto della Scuola Nazario Sauro scrive: “quella pubblicata sul sito era una mera descrizione socio economica del territorio secondo il Ministero e non c’era nessun intento discriminatorio”.

Da parte sua il Miur precisa, “Il testo sul sito della scuola non ha nulla a che fare con linee guida ministeriali o altra documentazione richiesta dal Ministero dell’Istruzione”.

Interviene anche la Sociologa Chiara Saraceno con un articolo pubblicato su Repubblica del 16 gennaio:

“La descrizione che la direzione ha fatto sul proprio sito risponde a una precisa norma ministeriale. Nella rendicontazione sociale annuale ogni istituto deve indicare il contesto in cui opera, in particolare specificando condizioni socio economiche, cittadinanza, appartenenza o meno a gruppi nomadi e così via dei propri studenti; che non tutte le scuole siano uguali e frequentate nella stessa misura dai ragazzi e noto a tutti”

La sociologa aggiunge inoltre che la Direzione della scuola poteva in effetti dettagliare in maniera meno evidente le differenze sociali degli studenti, “come peraltro ha poi fatto dopo la reazione della stampa e dell’opinione pubblica”.

Ancora oggi, con il crescere delle disuguaglianze e l’arrivo massiccio dei migranti, aumentano purtroppo le differenze sociali anche nelle scuole pubbliche. E, soprattutto, aumentano gli abbandoni scolastici subito dopo la scuola dell’obbligo.

In uno studio sulla dispersione scolastica, il Miur ha rilevato nell’anno scolastico 2016/17 ben 131 mila studenti che hanno abbandonato la scuola non assolvendo all’obbligo scolastico. E la Corte dei Conti rileva che l’Italia è terz’ultima in Europa per il numero di alunni che abbandonano la Scuola prima dei sedici anni.

Quando nel 1962/63 fu istituita la scuola media, molti ragazzi e genitori delle periferie non sapevano nemmeno che esistesse. Nei quartieri poveri, privi di giardini, piscine, librerie, teatri, i genitori, molti dei quali analfabeti, iscrivevano i loro figli alla scuola professionale di quartiere, una scuola di avviamento al lavoro; molti studenti, abbandonati a se stessi e senza nessuna guida, a parte gli insegnanti, spesso non riuscivano neanche a terminarla. La scuola come ascensore sociale investe dunque l’istituzione della famiglia, il Miur e gli insegnanti, costretti a gestire classi sociali numerose e disomogenee, differenziate socialmente tra ricchi e poveri.

I Care, “mi sta a cuore” dice il messaggio che campeggia su una parete della scuola di Barbiana creata da Don Milani; in questa scuola ogni parola veniva scelta con cura perché è proprio il numero di parole che fa la differenza tra il figlio del contadino e quello del dottore; “il bisogno di costruire una scuola in grado di “avere a cuore” tutti gli alunni, a prescindere dalle loro capacità, e di portarli tutti, nessuno escluso, verso il successo formativo”.  

Giuseppe Careri