Salvini e la nascita del partito nazionale di destra. Così tiene sotto schiaffo pure i suoi. Ma Bossi non molla- di Giancarlo Infante

Salvini e la nascita del partito nazionale di destra. Così tiene sotto schiaffo pure i suoi. Ma Bossi non molla- di Giancarlo Infante

Sbrigativo come sempre, in solo due ore, Matteo Salvini ha concluso il congresso servito a ufficializzare la nascita del suo partito nazionale di destra.

Neppure questa volta si è fatto sfuggire l’occasione per strumentalizzare ciò che dovrebbe essere trattato con cura e delicatezza.

Al Tg serale, infatti, ha detto che il suo sarà un partito “cristiano, cristiano e cristiano”. Come se questo Paese che ha avuto martiri, solo per citarne alcuni, come don Minzoni, monsignor Ugo Civardi, don Pasquino Borghi, Don Aldo Mei, don Pietro Pappagallo, don Giuseppe Morosini, don Roberto Angeli e personaggi come don Luigi Sturzo, Giuseppe Donati, Alcide De Gasperi, Aldo Moro, Giorgio La Pira, lo aspettasse per la difesa di quei “valori” cui egli si riferisce con una scarsissima coerenza nei contenuti e nel linguaggio.

Matteo Salvini ha detto: “Oggi è l’inizio di un bellissimo percorso, è il battesimo di un movimento che ha l’ambizione di rilanciare l’Italia nel mondo”. In effetti, l’ambizione è alta.

In ogni caso, il capo della Lega traghetta la federazione degli scissionisti e degli autonomisti del Nord in un partito dalla vocazione maggioritaria.

Si tratta, ovviamente, di una formazione politica di destra che non disdegna la contiguità con parti anche estreme della destra, per quanto ampiamente ridotte.

Siamo di fronte all’assunzione di una grande responsabilità in cui non crede, nonostante tutto, il fondatore Umberto Bossi, che non molla, e verso cui sembrano essere scettici altri capi del leghismo i quali, come Salvini, fanno parte della generazione di mezzo composta da esponenti come Giorgetti, Zaia e Maroni.

Oggi possiamo dunque dire che questo nuovo partito parte già con almeno tre anime al proprio interno, tutte legate alle attuali sfaccettature della Lega. Le dinamiche restano assolutamente dipendenti dagli equilibri esistenti nel sistema di potere del Nord.

Tutto andrà bene fino a quando continuerà l’onda che ha sollevato Salvini oltre il 30 % dei consensi dal misero tre con cui ripartì nel momento più buio allorquando, a seguito di una gravissimo scandalo, Maroni, lui ed altri si liberarono del “padre padrone”, Umberto Bossi.

Inevitabile, allora, che il congresso milanese della rifondazione ufficiale della Lega si svolgesse nel modo più veloce possibile. In maniera da consentire a Salvini di tenere ancora sotto schiaffo le voci dissonanti che, comunque, all’interno dei suoi non sono affatto sopite.

Un sistema per non misurarsi sui punti che pur dovrebbere giustificare roboanti enunciazioni e sorvolare, piuttosto, sui gravi problemi che ancora si frappongono per rendere concreta l’ambizione di dare vita ad movimento capace di assicurare il rilancio dell’Italia nel mondo.

Intanto, una prima notazione. La Penisola è fatta anche dal Mezzogiorno. Senza un’autentica sua ripresa, il Paese continuerà a precipitare in tutte le classifiche internazionali che contano.

Basta guardare ai voti del Sud, in realtà per ora sempre modesti, del resto, per dirsi anche meridionalisti, visto che Salvini dice di rivolgersi a un Paese intero?

Un partito animato realmente dalla vocazione nazionale non può non rispondere all’insieme dei gravi problemi che riguardano la deindustrializzazione meridionale, ancora più evidente di quella in atto al Nord; la continua emigrazione che erode il patrimonio umano e professionale da Roma in giù; la fine del sistema bancario meridionale; la criminalità organizzata che incide sulle dinamiche civili, sociali ed economiche di vaste regioni del Sud; i disequilibri che permangono in materia di Servizio sanitario nazionale, funzionali ad evitare l’implosione della sanità delle regioni del Nord le quali godono per circa il 25% del loro bilancio del cosiddetto “turismo sanitario” praticato dai meridionali costretti a curarsi nelle strutture settentrionali; degli altri attrentato gravi disequilibri che affliggono il sistema universitario, per il quale vale lo stesso ragionamento in materia di trasferimento dei giovani studenti; le infrastrutture pressoché assenti  sotto Eboli.

A Eboli, Cristo continua a fermarsi perché non sono stati risolti secolari problemi legati sicuramente alle vicende proprie del Mezzogiorno. In particolare, quelle connesse alla qualità delle sue classi dirigenti e una fragilità della società civile che si perpetua, ma anche ad una continua opera di “spoliazione” che ha riguardato il capitale umano a tutti i livelli, dai braccianti, ai quadri intermedi, ai ceti dirigenti privati e pubblici, e il drenaggio delle risorse finanziarie.

Ha qualcosa da dire al riguardo Matteo Salvini?

Se si fosse puntato a formulare un intero progetto Paese, anche per la quota parte che riguarda il resto, oltre il Nord, il congresso milanese di Matteo Salvini  sarebbe dovuto durare due settimane, o almeno due giorni. Altro che due ore.

Molto è infatti il tempo necessario per cominciare ad avviare un ragionamento degno di questo nome. Oltre a dimostrare la presenza di effettive capacità progettuali e confermare quanto siano coerenti con la pretesa di assumere una funzione di guida per l’intera Italia.

Salvini, inoltre, è giunto al congresso senza compiere neppure un abbozzo di analisi dei gravi errori da egli stesso commessi negli ultimi mesi.

E’ rimasto ancora una volta al livello utile a coprire solamente spazi radio televisivi e di carta stampata. Sembra che questa sia l’unica cosa che continui ad interessargli, dopo aver avviato una campagna elettorale senza soluzione di continuità dall’indomani delle votazioni del 4 marzo 2018.

Un congresso del genere è servito a far dimenticare come egli, in realtà, abbia perso il treno della formazione di una nuova maggioranza in Europa. Di come abbia provocato scelleratamente una crisi di governo con il risultato di affossare un esecutivo a proposito del quale aveva giurato e rigiurato di investire fino alla fine della legislatura.

Ha dimostrato, in sostanza, solo dover ancora dimostrare di avere la stoffa adeguata a guidare l’ intero Paese.

L’assise di Milano è giunta nel pieno della richiesta del suo rinvio a giudizio per l’ennesimo caso di immigrati trattenuti, questa è la tesi della Procura, illegittimamente in mare. In occasione della nave Diciotti fu salvato da Di Maio il quale però, allora, era ancora convinto che Salvini restasse un alleato leale e affidabile.

Ora, noi non crediamo che le vicende politiche debbano essere risolte nelle aule di tribunale e male fanno quelli che si attendono una sentenza contraria a Salvini per risolvere le complesse questioni che sottostanno all’impetuosa crescita della Lega.

Il tentativo continuo di superare il “berlusconismo” in Tribunale è solo servito ad incarognire e fratturare ulteriormente l’Italia. Silvio Berlusconi è finito non per le vicende delle olgettine o per le sue numerose storie giudiziarie. Forza Italia è ridotta com’è ridotta per ben altro. Per l’incapacità dimostrata nel riempire lo spazio tra il dire il fare. In particolare, nel venire meno agli impegni assunti per realizzare un radicale cambiamento all’insegna della libertà trasformatosi, in effetti, in aggravamento delle condizioni economiche, sociali e civili in cui erano e sono costretti gli italiani.

Di converso, non crediamo neppure che Salvini possa far diventare il giudizio su atti da lui compiuti da Ministro dell’Interno un “processo politico” che vada oltre la sua persona e veda coinvolgere tutti gli italiani che la pensano come lui sulla chiusura dei porti.

I giudici dovranno appurare se Salvini, in quanto Ministro, abbia abusato dei propri compiti e delle proprie prerogative alla luce del diritto italiano e internazionale. Il resto è propaganda e retorica che male si concilia con l’ambizione di voler assumere il ruolo di capo dell’intera Italia di fronte agli occhi del mondo.

Il rilancio italiano, che nel corso della Storia si è rinnovato in vari ambiti, è sempre stato frutto dell’arrivo sulla scena di un’intera classe dirigente le cui espressioni massime, il riferimento va immediatamente a Cavour, a De Gasperi e a Moro, furono capaci di assumere la responsabilità complessiva dei problemi del Paese.

Un Paese da guidare oltre il mero riferimento a interessi personali, di gruppo o partito o, meno che mai, ad ambiti regionali o afferenti le convenienze di una sola parte di esso.

Giancarlo Infante

Pubblicato su www.politicainsieme.com