E’ morto Giovanni Galloni. Uomo del confronto e del rinnovamento

E’ morto Giovanni Galloni. Uomo del confronto e del rinnovamento

Giovanni Galloni ci ha lasciati. Scompare un vero proprio personaggio del movimento politico dei cattolici italiani dopo una vita dedicata agli altri nella forma più alta di impegno,  qual è la partecipazione alla vita pubblica in maniera seria e disinteressata.

Giovanni era un uomo intelligente, onesto, schivo e sempre disponibile nei confronti di tutti. Orientato all’ascolto, anche se aveva una capacità oratoria davvero insolita e coinvolgente.

I lunghi anni di amicizia e di collaborazione mi hanno consentito di avere del suo pensiero, dei suoi tratti umani e della sua azione politica una conoscenza particolare che potrei  provare a sintetizzare in una visione della dimensione del “ potere fondato sul divino” accompagnata e sorretta  da  un impegno pratico  ispirato al confronto ed al rinnovamento.

Non è un caso che Confronto e Rinnovamento  fu il titolo della rivista che, su sua sollecitazione, fondai per dare voce al gruppo dei cosiddetti “ zaccagniniani” dopo l’estromissione dalla guida della Dc del gruppo che aveva provato a condurre il partito dei cattolici democratici lungo un percorso nuovo.

Un percorso difficile ed angusto. Delimitato, da una parte, dalla forte avanzata comunista e dal contemporaneo attacco terroristico che, avvertivamo chiaramente,  fosse,  in primo luogo, un attacco alla Dc, alla cui tenuta erano allora legate le fondamenta democratiche dello Stato.

Dall’altra, stava la necessità di una riforma radicale, negli uomini e nei metodi, della gestione del potere cui la Democrazia cristiana era stata costretta dalle cose per oltre 40 anni, periodo lungo il quale  non si erano create le condizioni per un’alternanza davvero democratica e di garanzia per l’intera Italia ed i suoi alleati.

Il “ confronto”, così, costituiva l’unico strumento agibile per salvaguardare l’assetto repubblicano nella seconda metà degli anni ’70, alla luce delle sapienti intuizioni di Moro,  spalleggiato da più giovani esponenti di rilievo come Giovanni Galloni, Guido Bodrato e Ciriaco De Mita e da una vecchia classe dirigente, in cui si trovò a svolgere una funzione carismatica Benigno Zaccagnini.

Per Moro e Galloni il “ confronto”  era cosa diversa  da quel  Compromesso storico tanto agognato da Enrico Berlinguer  e non solo, visto che ad esso  guardavano,  con ben altre motivazioni ed interessi,  anche gruppi mossi dal tentativo  di contenere  in un quadro di stabilità la classe operaia, allora forte e fondamentale.

Semmai, con Ciriaco De Mita, Marcora, Granelli ed altri, Galloni aveva intuito da tempo la necessità che si ponesse mano al problema della ricomposizione  del sistema istituzionale dopo la forte contrapposizione dei decenni precedenti con il Pci e, non a caso, quei politici lanciarono l’appello perché, anche in vista della nascita dello strumento Regione, si giungesse ad un “ Patto istituzionale” tra tutte le forze politiche presenti in Parlamento per  assicurare  la tenuta reale del Paese.

Giovanni Galloni, come Moro, non dava affatto per scontato, come sosteneva la stampa di destra e di sinistra,  che fosse utile e possibile formare un governo tra Dc e comunisti. Egli era convinto, invece,  che niente dovesse essere lasciato d’intentato per creare nuove condizioni per un’ assunzione comune di responsabilità e si potesse dare vita ad una condivisione diffusa del pieno coinvolgimento democratico parlamentare da parte di tutte le forze politiche italiane.

L’opzione della  possibile alternanza, però, abbisognava dal riconoscimento reciproco di una pari dignità tra tutti i filoni culturali presenti nelle istituzioni, a partire dal Parlamento.

Ecco perché il vertice Dc, dopo forti pressioni dell’allora Presidente della Repubblica Pertini, incaricò proprio Galloni di intervenire sul Popolo ed aprire per la prima volta alla possibilità che il Presidente del Consiglio dei ministri fosse un non Dc, cosa che si materializzò dopo poco con il Governo Spadolini.

Un tempo che oggi appare lontano. Così come appaiono lontani i giorni in cui, giovanissimo, Galloni ed il cugino Achille Ardigò, facevano le staffette partigiane nel bolognese ancora sotto l’occupazione nazifascista.

Lontani sono i giorni del suo avvicinamento alle visioni di Dossetti, nelle quali egli vedeva il filo del collegamento, sia sul piano della riforma della Chiesa, sia su quello politico, con il Rosmini e le antiche e disattese istanze di rinnovamento per l’Italia intera.

Di fronte alla scelta tra l’impegno nell’ambito della Chiesa, verso cui si diresse da allora in poi la vitalità di Dossetti , e quella del pieno coinvolgimento politico, Galloni scelse quest’ultimo entrando ben presto nella Direzione della Dc in rappresentanza delle posizioni  di rinnovamento agognate da personaggi come Giovanni Gronchi ed Enrico Mattei.

Giovanni  Galloni contribuì a fondare la corrente di Base, con Giovanni Marcora e Ciriaco De Mita, proprio nella prospettiva di un’apertura al nuovo che soffiava  nel resto del mondo, come nel Paese.

Nacque, così, la sinistra “ politica” democristiana che si contrapponeva alla sinistra “ sociale” di Carlo Donat Cattin, verso il quale, però, Galloni  guardava sempre con la speranza di poter giungere ad una saldatura capace, a suo avviso, di segnare l’entrata della Dc in una dimensione adeguata al  confronto con le sfide poste all’Italia di allora.

Il caso Moro interruppe tutto ciò rendendo molto problematica la possibilità che la Dc ritrovasse al proprio interno le energie per un’autorigenerazione, visto che con il Pci al 33 %  diventava davvero difficile creare le condizioni per un superamento di vecchi equilibri e consolidati appiattimenti sulla logica della gestione corrente della cosa pubblica.

Giovanni Galloni subì con tormento la vicenda del “ caso Moro”. So per certo che da vice segretario Dc  fece di tutto per salvare la vita del suo amico, ma non ci riuscì. Mi riferì di “ tante cose strane” viste e sentite in quei giorni, a partire dagli ” strani” personaggi partecipanti al Comitato straordinario allestito al Viminale, di cui faceva parte anche Licio Gelli. Successivamente, Galloni dirà pubblicamente di aver saputo da Moro in persona che servizi segreti stranieri avevano “ infiltrato” le Br.

A proposito della tanto sbandierata possibile “ trattativa”, allorquando gli chiesi cosa pensasse della richiesta  in tal senso sostenuta da  eminenti personaggi mi  rispose: “ lo dicono perché sanno che la sorte di Moro é segnata”.

Eppure, lui andò alla fatidica Direzione Dc del 9 maggio 1978 con la speranza di avercela fatta a tenere in vita Aldo Moro dopo le aperture che Amintore Fanfani si preparava a prospettare d’accordo con l’intero vertice Dc e il Presidente della Repubblica, Leone.

Galloni ha sempre ricevuto  un ampio sostegno elettorale,  pur senza aver mai voluto creare una struttura di potere degna di questo nome, ma solo sulla base di una riconosciuta capacità di analisi e di pensiero, assieme ad una moralità cristallina.

Egli era soprattutto uomo di partito, ma al momento dell’impegno istituzionale seppe dare prova di grandi capacità operative e di prospettiva, come accade quando,  nel 1987, venne chiamato alla guida del Ministero della Pubblica istruzione. Avrebbe voluto le Partecipazioni statali per marcare il ritorno allo spirito e alla gestione della presenza positiva dello Stato nell’economia, ma accettò per spirito di servizio anche quella sfida.

La sua presenza all’Istruzione fu indirizzata verso  un rinnovamento che da tempo mancava nella scuola italiana. L’edilizia scolastica, l’apertura internazionale, la razionalizzazione del sistema, la lotta all’analfabetismo di ritorno e all’abbandono scolastico, il rapporto tra scuola e mondo del lavoro costituirono l’arrivo di temi ed aria nuova all’interno di una più generale convinzione della necessità di un superamento della  scissione tra visione umanistica e visione scientifica che risaliva a Cartesio. A suo avviso,  era necessario puntare verso  una ricomposizione del “ sapere” e della sua diffusione intesi ed utilizzati come uno strumento moderno di ripresa dell’intero Paese.

Una prospettiva su cui mancò l’impegno corale del Governo, anche in termini di risorse allocate a favore del sistema scolastico,  e la cosa lo portò a non impegnarsi in successive esperienze di governo.

Riprese instancabile la vita di partito spendendosi senza tregua ogni santo giorno per sostenere dappertutto giovani e vecchi animati da un intento di rinnovamento dello spirito e della tradizione democratico cristiana.

Intanto, continuava con il suo lavoro di professore di diritto agrario, prima a Firenze e poi a Portici. Giovanni Galloni, infatti, contrariamente a quello che molti pensano,  non è mai stato solo  un politico di professione. Bensì, un giurista prestato alla realtà istituzionale perché convinto che quello fosse il modo più coerente per mettersi al servizio degli altri. Senza compromessi o scivolamenti opportunistici.

Lo dimostrò anche quando, da Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura,  non esitò ad entrare, vivacemente e pubblicamente, in rotta di collisione con il suo vecchio e caro amico, Francesco Cossiga, Presidente della Repubblica , il quale, pure, in quel ruolo lo aveva voluto.

Il motivo fu la polemica sui “ giudici ragazzini” contro cui Cossiga si scagliò agli albori di quello scontro tra politica e magistratura che Giovanni Galloni riteneva opportuno affrontare in modo diverso, con una maggiore attenzione agli equilibri istituzionali complessivi ed al rispetto per il Terzo potere dello Stato.

Si consumò, così, una frattura insanabile tra i due che agitò non poco quanti erano legati ad entrambi da stima ed affetto. Avranno adesso modo i due per riconciliarsi di fronte a quel Dio in cui credevano profondamente.

Giovanni Galloni, anche in quella occasione, dimostrò di avere un’insolita percezione del ruolo e la funzione di una persona chiamata al servizio degli altri. Per lui, mi disse una volta, il potere non valeva la salvezza dell’anima.

Giancarlo Infante